“La Regione riconosce il “quoziente familiare” come strumento di equità sociale volto alla salvaguardia della famiglia ed in modo particolare delle famiglie numerose. La Regione, i comuni, le province e gli enti sottoposti a tutela e/o vigilanza della Regione, adottano politiche sociali mirate alle famiglie in stato di bisogno economico, agendo anche sui fattori familiari che possono costituire cause di rischio o di povertà o di deprivazione” recita così l’articolo 1 ai commi 1 e 2, della legge n. 50 del 19 settembre del 2012 dal titolo “Norme per l’introduzione del quoziente familiare in Sicilia” pubblicata sul supplemento ordinario n. 1 della GURS (p.I) n. 41 del 28 settembre 2012 (n.38). Una legge che ha avuto un iter abbastanza celere rispetto a quello a cui siamo abituati, dalla presentazione del testo, di iniziativa parlamentare, infatti, alla sua approvazione in aula, sono trascorsi appena due anni ma che ha visto abbattersi su di sé la scure del Commissario dello Stato che ha impugnato il comma 4 dell’art. 2 (la legge è composta da soli 4 articoli) per incompatibilità con l’art. 28 dello Statuto della Regione Siciliana e di cui ancora oggi (l’impugnativa è stata presentata nei primi giorni di agosto 2012) si attende la decisione della Corte Costituzionale.
Ma era davvero necessaria l’introduzione di una norma del genere? Sicuramente la Regione dispone in materia di aiuto alle famiglie di una norma, la legge del 31 luglio 2003 la n. 10 “Norme per la tutela e la valorizzazione della famiglia” che stabilisce “finalità per agevolare e sostenere le scelte rivolte alla formazione di nuove famiglie” ma anche “interventi a sostegno di nuclei familiari in condizione di temporaneo e particolare disagio” tra questi interventi vi sono garanzie creditizie, interventi abitativi, interventi per il sostegno alle relazioni familiari ed alle responsabilità educative. Un testo che però è stato attuato fino al 2007 e lentamente “dimenticato” per mancanza di fondi (o perché questi non vengono ricercati) necessari per l’applicazione delle iniziative in esso contenute. Di sicuro la legge introduttiva della nozione di quoziente familiare così com’è non può essere applicata. La Regione Siciliana, infatti, come tutte le Regioni d’Italia non ha in materia finanziaria competenza esclusiva ma solo sussidiaria dunque stabilisce degli ambiti dentro cui operare come l’ISEE e l’equilibrio di bilancio ma non stabilisce il limite ISEE o altro in quanto materia di competenza statale.
In sostanza la legge sull’introduzione del quoziente familiare in Sicilia, così come è stata elaborata e legiferata, possiamo definirla come uno specchietto per le allodole o uno spot pubblicitario pre elettorale da parte dei proponenti al termine della legislatura per potersi riconquistare un posto alle lezioni successive all’ARS facendo breccia sulla parte cattolica dell’elettorato. Infatti basta leggere gli articoli di cui si compone la legge n. 50 del 2012 per capire che si tratta di una legge programmatica priva dei contenuti che possono renderla esecutiva.
Spetterà al nuovo governo, insediatosi a dicembre, riempirla di questi contenuti ma tenuto conto delle indicazioni del legislatore nazionale. Una norma davvero utile quella emanata? Secondo Antonio La Spina, professore ordinario di sociologia all’Università degli Studi di Palermo “il quoziente familiare (del quale in effetti vi sono varie versioni, sicché occorre di volta in volta precisare su quale base vengono calcolate le detrazioni) potrebbe alleviare il peso economico che grava sulle famiglie in cui vi è un solo reddito e/o vi sono figli. Da sola, questa misura non basta a favorire la decisione di creare famiglie e procreare. A tale fine sarebbero necessarie anche altre misure di sostegno”. Ma La Spina sottolinea anche che la norma così emanata sia “servita ad affermare il principio. D’altro canto, per renderla operativa – spiega La Spina – occorrerebbe indicare i tributi su cui essa dovrebbe incidere e il quantum. Invece, la legge “autorizza a considerare” il quoziente familiare in tale prospettiva, il che potrà anche significare che molti degli enti destinatari di tale autorizzazione non se ne avvarranno per nulla, e che quelli che lo facessero potrebbero seguire modalità applicative differenti tra loro. In definitiva – conclude il prof. La Spina – al momento è un provvedimento che annuncia un percorso, di per sé insufficiente a garantire che tale percorso venga effettivamente intrapreso”.
Marilisa Della Monica