Prendendo spunto dalle osservazioni astronomiche fatte da Nicolò Copernico e da Galileo Galilei, il prof. Pagano ci illustra alcuni particolari riguardanti l’ispezione del pianeta Marte.
Galileo, grande sostenitore del modello copernicano, argomentò le prove sperimentali in suo favore, soprattutto nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Questa posizione gli valse un processo della Santa Inquisizione e lo costrinse ad un’abiura pubblica delle sue convinzioni. Ma l’opera astronomica di Copernico non diede solo un decisivo impulso per nuove osservazioni astronomiche; essa permise, soprattutto, di raggiungere l’unità fondamentale della natura: non più la terra distinta dal cielo, ma cielo e terra accomunati da uno stesso destino. Non più la materia corruttibile quaggiù e l’incorruttibile cielo lassù, ma cielo e terra fatti degli stessi elementi, incorruttibili atomi in perenne movimento nell’immenso spazio astrale.
Ripercorriamo brevemente alcune delle tappe fondamentali di questo percorso entusiasmante alla scoperta del cielo nel caso, forse più noto, dell’osservazione del pianeta Marte.
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Galilei osservò proficuamente la Luna, scoprendone i mari e i crateri, Giove con i suoi 4 satelliti maggiori, ma non riuscì a vedere granché quando osservò Marte. Purtroppo gli strumenti più potenti a disposizione di Galileo avevano lenti molto piccole e una qualità complessiva dell’immagine troppo scadente.
- A metà del 1700 William Herschel, un musicista tedesco trasferitosi in Inghilterra, iniziò a costruirsi da solo gli specchi dei suoi telescopi riflettori e vide le calotte polari di Marte che, man mano che avanzava l’estate marziana, si riducevano di dimensioni. Le osservazioni di Herschel alimentarono le più strane fantasticherie: esseri interplanetari con più teste ed eventualmente organi intercambiabili. Si stava formando il terreno adatto su cui far fiorire l’idea meravigliosa di una civiltà extraterrestre rilevabile dalla Terra.
- Intorno al 1880 Giovanni Schiaparelli ridisegna completamente la topografia di Marte. I dettagli da lui osservati con tanta precisione sembrano mutare con il trascorrere delle stagioni marziane e in conseguenza del ritirarsi delle calotte polari presumibilmente costituite da neve e ghiaccio. Le formazioni su Marte erano collegate da elementi rettilinei che Schiaparelli chiamò canali, ma non era nelle sue intenzioni attribuire ai canali un’origine artificiale, in quanto pensava che fossero semplici corsi d’acqua naturali che diventavano evidenti quando le calotte polari si scioglievano. Non ci volle molto perché queste notizie venissero riecheggiate dalla stampa come la testimonianza delle opere di creature intelligenti: i canali rappresentavano l’opera degli ingegneri marziani che avevano imbrigliato la poca acqua presente in un sistema di irrigazione su scala planetaria.
- La fine di queste fantasiose discussioni fu decretata dall’astronomo greco naturalizzato francese Eugenios Antoniadi. Utilizzando uno dei maggiori telescopi del mondo, vide che su Marte non c’era alcuna geometria evidente: i canali si dissolvevano in una infinità di piccole macchie e dettagli minori che l’occhio umano, osservando attraverso telescopi meno potenti, tendeva a riunire in formazioni rettilinee. I marziani erano stati spazzati via dall’accresciuta capacità tecnologica di vedere sempre più lontano e sempre più nitidamente!
- Con le successive missioni delle sonde spaziali del XXI secolo la conoscenza del cielo è diventata sempre più chiara. Il pianeta rosso è stato fotografato al 100% e si sono aggiunte nuove e importanti conoscenze, ma sempre nel panorama di un mondo arido e inospitale sul quale eventuali forme di vita indigena potevano presentarsi solo sotto forme molto elementari.
Angelo Pagano
(dirigente di ricerca dell’Istituto di Fisica Nucleare di Catania)