Uno scenario più suggestivo del solito, è ciò che appare al nostro sguardo per il debutto della “sagra del tirrimulliru” a Randazzo.
A fare da sfondo alla sagra le bellezze paesaggistiche ed architettoniche, con i vecchi palazzi, musei, le viuzze dalle pietre nere, rese ancor più imponenti dal luccichio dell’ illuminazione natalizia.
Durante l’inaugurazione, il sindaco di Randazzo, prof. Michele Mangione, erudisce in merito al prodotto: “Si tratta di un dolce dei nostri nonni, che ha, quindi, radici molto lontane, l’etimologia non ha nulla di preciso; ad ogni modo, la caratteristica del dolce si basa sul vino cotto, cui si miscelano diverse tipologie di frutta secca quali: noci, mandorle, nocciole ed un pizzico di cannella”. Ed ancora, aggiunge il sindaco, “il tirrimulliru è il fiore all’occhiello della sagra, ma ci saranno anche mostarda, cotognata, degustazioni di prodotti di enogastronomia tipici del nostro paese (olio, vini, formaggi, salumi e ricotta fresca secondo antiche tradizioni) e mercatini di Natale, con prodotti di artigianato, oggettistica”.
Il primo cittadino, accompagnato dalla giunta comunale, tiene a precisare che se la sagra si è realizzata (considerato il periodo di magra del suddetto comune) è grazie al G.A.L. (terre dell’Etna e dell’Alcantara) con a capo il presidente, ingegnere Cettino Bellia, e all’Azienda regionale foreste demaniali di Catania, Dipartimento agricoltura e foreste, con il dirigente, avvocato Ettore Foti.
Indi ha illustrato in maniera più dettagliata il programma della tre giorni randazzese.
Facendo un giro per le vie storiche del paese abbiamo pensato di vedere da vicino il gettonato tirrimulliru e così entriamo in una delle tante pasticcerie del paese, quella dei fratelli Facondo, nei pressi del palazzo municipale che ci accolgono con gentilezza pronti a soddisfare la nostra curiosità. Ci consentono di entrare nel loro laboratorio ed osservare i dolci ancora immersi nel vino cotto.
Parliamo con il fratello maggiore, Vincenzo che, mentre con gioia ci mostra le sue creazioni, ci dice:
“In realtà, questo nostro dolce tipico è molto camaleontico, nel senso che ognuno ha una sua propria ricetta, seppur con un denominatore comune, il vino cotto”.
Chiediamo se può darci uno spunto sulle sue variazioni e con un sorriso ci accontenta: “ Per quanto mi riguarda, utilizziamo anche polpa d’arancia, fichi secchi, mandorle, noci, nocciole”; ci saluta per continuare il suo lavoro con una triste considerazione: “Peccato che poco o nulla conoscano le nuove generazioni di questi e tanti altri nostri dolci tipici”.
Maria Pia Risa