Lampedusa, nella storia la speranza di una “relazione feconda di umanità”

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Il Consiglio permanente della Cei, che ha preso il via il 28 marzo, si è aperto, come di consueto, con la prolusione del cardinale presidente Angelo Bagnasco. Il solo elenco dei temi toccati riempirebbe intere colonne di giornali. Tra il Giappone e la libertà religiosa, la sentenza europea sul Crocifisso e le leggi sul fine vita, anche Lampedusa e la nostra diocesi sono state oggetto del discorso iniziale del presidente della Conferenza dei vescovi italiani.
La scarsa attenzione data dai media al discorso introduttivo del card. Bagnasco basterebbe, da sola, a convincerci della necessità di leggerlo approfonditamente e di coglierne il valore propulsivo e prospettico per quanti da fedeli e da cittadini, con i loro vescovi, vogliono vivere bene e operare ancor di più nella Chiesa e in Italia, secondo il Vangelo di Cristo. Gli eventi cari al popolo italiano e ai popoli fratelli non fanno da semplice sfondo alla vita della Chiesa. Le parole di un vescovo sono espressione primaria, ma non esclusiva, di una “ponderazione della situazione a cui tutta la comunità cristiana è chiamata per incarnare l’annuncio del Vangelo”. In particolare, da parroco, mi sono immedesimato nel mio confratello don Stefano Nastasi. Un mare di affetto e di stima e non solo di Mare Mediterraneo avvolge lui, il viceparroco don Vincent Mwagala e la comunità cristiana di Lampedusa. E questo chiaramente emerge dalla prolusione del card. Bagnasco.
Cosa avranno altro da condividere il presidente della Cei e il parroco dell’estremo lembo d’Italia? Il genere letterario della prolusione e la sua destinazione prioritaria, una specie d’introduzione al lavoro dei vescovi del Consiglio permanente, dovrebbe impedirci di proseguire oltre nella riflessione. Ad esempio: da un discorso, cos’altro potrebbe ricavarsi per il concreto agire pastorale di una parrocchia in genere? E di una parrocchia così speciale come quella di Lampedusa? Ed, esemplarmente, per una parrocchia della diocesi agrigentina? Personalmente ritengo invece che si possa trarre come una specie di vademecum ad uso di quanti vivono la Chiesa con passione. Ci sembra appaia un metodo pastorale, valido ad uso del cardinale e, per la Chiesa, sino al parroco marino. L’imprescindibile punto di partenza e di arrivo della apostolicità della Chiesa è innanzitutto la virtù della speranza. Nella Chiesa si parla e si agisce per “attivare pensieri e accendere speranze”. La speranza che Dio dona ai credenti, informa e legge gli eventi, senza lasciarsene travolgere e sopraffare. Interpretare i dati della realtà, semplici e netti, è compito della comunità che vive di fede. Essa non cede all’enfasi propagandistica, al catastrofismo più nero né ai proclami apodittici.
 Alle “forti preoccupazioni che attraversano il mondo” e Lampedusa, la comunità cristiana risponde agendo “senza troppo reclamizzare e senza continuamente recriminare”. Tempo, spazio e occasioni nella Chiesa e della Chiesa in Italia e nel mondo vanno valorizzati per piegarsi “con umiltà sui dati della realtà, sapersi interrogare e istruire processi decisionali”. “La vita delle nostre Chiese non ci abbandona mai, ed è regola ai nostri passi”: la vita delle comunità cristiane con i suoi preti, ai quali ripetutamente il cardinale dice grazie, è segno di questa speranza.
Ed è questo perciò il secondo punto: questa speranza è dentro la storia. Anche dentro la storia d’Italia, tra alterne vicende, occorre leggere un disegno provvidenziale e ricco di benedizioni e di talenti. Di questa storia bisogna “avere intelligenza”, sia nei suoi macrofenomeni – dalle migrazioni all’interdipendenza dei popoli, dalla crisi economica internazionale alla vocazione geografica dell’Italia – sia, aggiungerei, nel microcosmo che Lampedusa è stata e continuerà ad essere. Per don Stefano Nastasi e per me, per le nostre parrocchie, la speranza nella storia sta nel profilo genetico cristiano: “Dio ci da di gustare grandi cose e ne fa sperare di ancora più grandi. Fondandosi sui beni già ora presenti, ispira ferma fede in quelli ancora invisibili”.
Un terzo punto nevralgico della presenza e dell’azione della Chiesa nel mondo è la capacità di ricomporre, raccogliersi e radunarsi. È il senso perenne della religione pura e vera, quella di Cristo. Consapevoli degli attacchi al “paradigma antropologico”, sotto l’onda “della sindrome degli arrivati”, dell’individuo che si sente che non deve nulla ad alcuno, noi continuiamo a professare invece il vincolo della “relazione feconda di umanità”: ci stiamo come parrocchie per coinvolgerci. Non è possibile disinteressarci, tenendo a distanza gli altri, siano essi i giovani popoli dell’Africa, che i Rom, che il Nord rispetto al Sud d’Italia. La fede è relazione impegnativa verso gli altri, capacità generativa, solidarietà consapevole la chiama il cardinale. E ciò riguarda la realizzazione del progetto della felicità e il benessere per ciascun uomo che, potenzialmente, è ogni famiglia. Il domani dell’Italia passa dall’impegno a servirla e ad amarla. E Lampedusa e il suo parroco questo stanno facendo nel disinteresse di parte e nell’esclusiva ottica del bene comune.
Infine, come quarto criterio, il card. Bagnasco e don Nastasi, la Chiesa e la parrocchia, condividono la compassione. La vita della comunità credente com-patisce. Sopporta insieme all’ammalato, si fa compassione, sostegno. Il cardinale ne parla a proposito della legge sul fine vita. Ma lo stesso concetto della condanna della sospensione del sostegno vitale del cibo e dell’acqua ai morenti si potrebbe applicare ai migranti indifesi, ai quali si è razionata la dignità. La compassione espressa con una certa disciplina del dolore alla quale i lampedusani sono stati educati dalle condizioni geografiche estreme, ha rotto gli argini con qualche rara e relativamente scomposta manifestazione che ha conclamato il disagio dell’esser stati lasciati soli. Ma questo non fa storia. È solo cronaca.
Grazie al cardinale e grazie anche a te, don Stefano, parroco. La stagione buona viene dappertutto, ma ad essa ne sopraggiunge sempre un’altra di segno opposto. Ma ci sono tempi che non si contano a stagioni né a semplici gradi. Dillo ai tuoi che Lampedusa è ormai nella storia universale e per noi agrigentini, sempre stagione buona ed è Lampedusa sinonimo di speranza.

Mimmo Zambito
(parroco a Favara, promotore delle “stazioni quaresimali” a Lampedusa)