C’eravamo quasi rassegnati, mese dopo mese, alle “cattive notizie” che venivano dall’Istat sul fronte della (sempre maggiore) disoccupazione, specialmente giovanile. A risvegliare dal torpore di percentuali sempre più sconfortanti viene ora, però, un primo segnale in controtendenza. “A dicembre 2014 – informa l’Istat – gli occupati sono 22 milioni 422mila: dopo il calo osservato nei due mesi precedenti, l’occupazione a dicembre aumenta dello 0,4% (+93 mila), tornando su valori prossimi a quelli di settembre. Su base annua la crescita è dello 0,5% (+109 mila)”. E ancora: “Il tasso di disoccupazione a dicembre scende al 12,9%, in diminuzione di 0,4 punti percentuali in termini congiunturali. Il calo osservato nell’ultimo mese è il primo segnale di contrazione della disoccupazione dopo un periodo di crescita che si è protratto nella seconda metà dell’anno”. Diminuisce pure il tasso di disoccupazione giovanile, ora al 42%, “il valore più basso da dicembre 2013”.
Cifre che fanno ben sperare, ma siamo ancora ben lontani dai dati di qualche anno fa, e forse occorre attendere prima di gridare vittoria. Sì, a settembre la disoccupazione era al 13%, a ottobre e novembre al 13,3%, quindi ora è calata, ma rispetto a un anno prima il tasso di disoccupazione è in aumento di 0,3 punti percentuali. E la strada per giungere a quel 6,7% pre-crisi è ancora lunga. A livello europeo, siamo ben lontani dal 4,8% della Germania, e pure dal 9,9% medio dei 28 Paesi Ue (dati Eurostat a dicembre 2014), e ci troviamo ancora agli ultimi posti, davanti a Portogallo (13,4%), Cipro (16,4%), Croazia (16,4%), Spagna (23,7%) e Grecia (fanalino di coda, con l’ultimo dato a ottobre 2014 del 25,8%).
Non dimentichiamo, infine, la – drammatica – disoccupazione giovanile, diminuita di ben un punto su base mensile (a novembre era al 43%), ma superiore al 41,8% del dicembre 2013. Senza dimenticare che, fino al 2008, veleggiava sul 23% (con un minimo del 17,8% a febbraio 2007). Altri tempi? Certamente sì, ma non possiamo rassegnarci a giovani che non trovano un lavoro, per non dire un lavoro “decente”. Sorridiamo, finalmente, per questa piccola inversione di tendenza, ma non abbassiamo la guardia. C’è ancora tanto da fare per garantire la “dignità” del lavoro, specialmente ai giovani.