Il mondo del lavoro per i giovani sta mutando in fenomeni sempre più nuovi, come quello del “quiet-quitting”. Si tratta di un nuovo modo di approcciarsi al lavoro che implica un impegno minimo in contrapposizione alla hustle life tipica delle vecchie generazioni, nella quale viene esaltato, invece, il dedicare tutta la propria vita al lavoro a discapito della vita privata. Il fenomeno è diventato virale nelle ultime settimane su TikTok. L’hashtag #quietquitting ha raggiunto in poco tempo oltre 216 milioni di visualizzazioni. Non si tratta di un concetto nuovo, ma il post-pandemia lo ha reso un fenomeno sempre più visibile.
Lavoro / Il quiet-quitting dei giovani che cambiano il modo di lavorare
La traduzione letterale dall’inglese di “quiet-quitting” è “abbandonare silenziosamente” e ci farebbe pensare che questo fenomeno si tratti quindi di una forma di dimissione. In realtà si riferisce a un comportamento lavorativo nella quale i giovani svolgono “il minimo sindacale” richiesto dalla propria mansione, ovvero quel che basta per non perdere il proprio posto di lavoro. Oltre a lavorare entro le ore del contratto, si rifiuta anche di fare straordinari o assumersi responsabilità extra. Il report “State of the global workplace 2022” di Gallup, che ogni anno fornisce dati riguardo il lavoro in giro per il mondo, evidenzia come il 39% del campione abbia sviluppato un malessere e stress psicologico causato dalla propria condizione lavorativa.
Inoltre, solo il 14% in Europa è davvero coinvolto nelle attività lavorative, un dato che evidenzia come spesso manchi un punto di incontro tra le aspirazioni delle persone e il portare avanti la carriera. Diventare un quiet-quitter significa quindi aver preso coscienza dei potenziali rischi per la salute fisica ed emotiva e agire conseguentemente per ritrovare la propria felicità. Una sorta di ribellione in cui si dà priorità a sé stessi, sentimento sempre più forte nei giovani che, tra le varie difficoltà come quella della disoccupazione, hanno compreso che il lavoro non è tutto.
Quiet-quitting / La pandemia come principale responsabile
Il quiet-quitting è in realtà fenomeno già in atto da anni, ma nel periodo post-pandemico è cresciuto in modo esponenziale. La pandemia ed i vari lockdown sembra abbiano condotto ad una rivalutazione del tempo libero e dei contatti sociali. Inaugurando la ricerca di un equilibrio tra lavoro e vita privata. Equilibrio che proprio nel periodo dello smart working è risultato molto più facile da mantenere. Sembra quindi che chi è costretto a tornare al proprio lavoro in presenza non è più disposto a farlo alle condizioni pre-pandemia. Al tempo stesso, la dimensione organizzativa aziendale trasformata durante il lockdown ha cominciato ad essere considerata come non stimolante. Ne consegue che il comportamento lavorativo diventa controproducente, favorendo lo sviluppo di insoddisfazione e demotivazione. Insieme al quiet-quitting allora si iniziano a presentare anche forme di assenteismo ed una alta percentuale di errori provocati dallo scarso interesse e la poca attenzione.
Lavoro / Al “quiet quitting” dei giovani le aziende rispondono col “quiet-firing”
Insieme al quiet-quitting, sta spopolando sui social un altro termine che ha come protagoniste invece le aziende. Si tratta del quiet-firing, ovvero il licenziamento silenzioso. DeAndre Brown, influencer americano, è stato uno dei primi a parlarne, descrivendo il quiet-firing come un datore di lavoro che non premia un dipendente per i suoi contributi in azienda, costringendolo a dare le dimissioni. Tra i comportamenti più comuni troviamo l’esclusione da comunicazioni importanti per il lavoro o l’assegnazione di una quantità eccessiva di mansioni e responsabilità. Ciò finisce col sovraccaricare di mansioni il dipendente preso di mira facendogli ottenere scarsi risultati.
Dalla recente indagine InfoJobs Attraction & Retention emerge un generale malcontento. I risultati mostrano come circa l’80% non consiglierebbe a un conoscente l’azienda per la quale lavora a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante. Sempre secondo l’indagine di Infojobs, le aziende sembrano consapevoli del fatto che bisogna modificare il proprio approccio con i dipendenti, ascoltando maggiormente e dialogando costantemente per trovare punti di incontro per tutte le parti. In generale, alla radice di questo comportamento si trova la mancanza di comunicazione autentica tra manager e dipendenti.
Milena Landriscina