“Ora io potevo abbandonare la cittadinanza italiana e assumere quella tedesca, senza rompere la fedeltà (con l’Italia ndr) giacché ciò avveniva in un contesto che abbracciava entrambi i territori e che si chiama ‘Europa’. Io ho compiuto il passo verso la Germania nella coscienza di essere europeo. Certamente anche l’essere europeo aveva le sue difficoltà”. Così Romano Guardini nel discorso tenuto dopo il conferimento del Praemium Erasmianun a Bruxelles il 28 aprile 1962. La riflessione del grande teologo e filosofo su “entrambi i territori”, quello nazionale o locale e quello europeo, può oggi contribuire al risveglio di una responsabilità culturale e politica che troppo spesso anche nel nostro Paese rimane vittima di una informazione europea deficitaria o strumentale. Un territorio, sostiene Guardini, per non ridursi a hortus conclusus, ha bisogno di comunicare con altri territori e l’Europa è il suo primo e più vicino interlocutore. Il territorio non perde la propria identità nell’apertura alle altre identità anzi la rafforza se non contrappone allo slogan “piccolo è bello” lo slogan “grande è brutto” ma prende consapevolezza che l’esperienza vissuta nel particolare trova completezza nell’insieme grazie a una reciprocità che fa crescere entrambi.
In verità il pensiero europeo ancora fatica a mettere radici e ali nel territorio: Guardini ne è consapevole e ricorda con preoccupazione “quanto forti siano le resistenze contro un avvenimento quale la formazione di un sincero sentimento europeo, e quante ancora saranno”. “Il formarsi dell’Europa – scrive il teologo citato spesso da Benedetto XVI – presuppone che ciascuna delle sue nazioni ripensi la sua storia e intenda il suo passato in relazione al costituirsi di questa grande forma vitale . Ma quale misura di autosuperamento e di autoapprofondimento significa ciò!” C’è una responsabilità che il territorio è chiamato ad assumere con maggior vigore in un tempo di crisi se vuole stare con amore in quella storia europea che si è aperta alla fine della seconda guerra mondiale . “La storia – ricorda Guardini – non è un processo naturale ma un divenire umano, che non si compie da se stesso ma deve essere voluto” tenendo conto, nello specifico, che “Europa è un fatto politico, economico, tecnico ma soprattutto una disposizione dello spirito, un sentimento. Al formarsi di questo sentimento si oppongono forti impedimenti”. Il territorio, con la sua identità che mai dovrà offuscarsi e neppure mai dovrà annebbiare la visione di un’Europa più ricca in umanità, è così chiamato a diventare un laboratorio di pensiero, di speranza, di futuro: lo deve soprattutto alle nuove generazioni. “Già il giovane – afferma a questo riguardo il teologo – sente che ciò che avviene nella sua città esercita un suo influsso in tutte le città; che ciò che riguarda la sua terra concerne anche tutte le terre”. Un pensiero e una responsabilità che rompono la crosta di molte mediocrità, indifferenze e paure. I giovani sono lo sguardo di un popolo sul proprio e sull’altrui futuro: ecco perché non può che essere europeo il respiro dei giornali della gente come sono i settimanali della Fisc dove una sorta di “profezia professionale” tiene vivo il dialogo tra “entrambi i territori” e coniuga la critica con la responsabilità e l’impegno: questa, nel pensiero di Guardini, è la strada maestra che porta alla formazione della coscienza europea.
Paolo Bustaffa