Giovanni Paolo II ha usato l’espressione incisiva della soglia: varcare la soglia del terzo millennio. Ci ha provocato e illuminato su una dimensione di vita che è oltre il presente e lo spazio attuale. Mi domandavo quante soglie dobbiamo varcare nella vita spirituale e constatavo che siamo sempre al di qua della soglia di Dio, del bene, della luce, della speranza, della fede e della carità.
La soglia dice che noi non siamo ancora passati al di là ma siamo entro la mediocrità, l’ordinario, il minimo indispensabile o la sufficienza.
È l’eterna esperienza del “non ancora” che non riusciamo mai ad abbracciare. È l’incapacità del superamento di sé, la paura dell’ignoto e del nuovo. È restare intrappolati dall’abitudine e dalle proprie conquiste.
È la paura di gettarci fuori dal nido.
Ci troviamo sempre dinanzi a questo segno della nostra ignavia.
Siamo chiamati ad attraversare e superare la soglia della materia e della carne, per renderci persone spirituali, capaci di volare con le ali della preghiera. Assoggettarle e utilizzarle come strumenti e mezzi per andare a Dio. Abbiamo bisogno di varcare la soglia della preghiera e di incamminarci oltre l’esplorato e il già conosciuto.
Invece, generalmente, paralizzati dalla paura, ci si ferma, pensando di avere fatto abbastanza. Eppure quello è solo l’inizio dell’avventura spirituale.
Abbiamo bisogno di varcare la soglia del silenzio, di nuotarvi dentro, di respirarlo, nutrircene, divorarlo, spremerlo, per trarne essenze e sapore; ma ci fa paura e ci fermiamo senza neanche fare il tentativo di assaggiarlo. Esso però è il grembo della preghiera ove essa viene generata, è anche il nutrimento, l’alimento del quale essa si nutre.
Abbiamo bisogno di varcare la soglia della preghiera pura, in sé, di pregare per pregare, di preghiera svuotata dall’io, di respirare la preghiera di Gesù, di fare propria la preghiera della Chiesa, di cercare Dio perché è Dio, di desiderare di stare di fronte al Suo volto, di perdere le percezioni umane perché emerga Dio in noi.
Ma quella soglia è sempre lì e noi siamo sempre al di qua, insoddisfatti, come Marta, indaffarata a fare cose per Dio anziché farsi cosa per Dio e di Dio.
Siamo anche al di qua della soglia dell’intercessione, del portare a Dio le gioie e le speranze, le ansie e le angosce degli altri che spesso restano fuori della soglia della nostra preghiera.
Quella soglia è conficcata nelle nostre carni, nel nostro cuore e nella nostra mente, come pungolo dell’inappagamento, come la spina nella carne di S. Paolo. Come un velo, come una nebbia, come una nube che ci avvolge e ci impedisce di relazionarci e di aprirci.
È il trovarsi dinanzi a un mistero impenetrabile.
È la nostra dura corteccia, il nostro resistente riccio che ci impedisce di aprirci al godimento della vita spirituale, a un orizzonte spirituale senza demarcazioni e confini, all’apertura a un Dio grande e immenso quanto Dio.
Non ci apriamo all’esperienza della potenza di Dio, della Sua forza, della Sua lotta al male e non osiamo dichiarare anche noi guerra al male con la preghiera.
La preghiera è come il parafulmine sulle case, previene, libera e difende da percoli e debolezze. È un’arma potente contro ogni male, dona vigore e risorse per osare il bene. Noi invece ci barrichiamo invece in una preghiera timida, senza provare a varcare la soglia del coraggio e dell’audacia che ci farebbe installare presso la tana del lupo e stanarlo con la potenza della preghiera. Per questo non abbiamo sperimentato che il male ha paura del coraggio della fede e della preghiera.
C’è anche una preghiera che rasserena, consola, guarisce il nostro spirito, dona pace, calma le acque tempestose del cuore, come varcare la soglia della pace, entrare nel suo luogo e nel suo spazio: Solo in Dio riposa l’anima mia; da lui la mia salvezza. Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare.(Sl 62, 2 – 3)
La preghiera è tutte queste dimensioni insieme ed è difficile e raro che noi le proviamo tutte.
Può capitarci di sentire incompleta la nostra preghiera, non rispondente alle esigenze e alla vita che ci circonda, di non rispondere a tutte le domande di preghiera in noi e attorno a noi.
È difficile e raro essere al di là della soglia della preghiera, aver risposto a tutte le sue esigenze. C’è anche la soglia del peccato, della perdizione che noi possiamo varcare anche senza esserne coscienti. Abbiamo sperimentato che il Signore allora ci ha tratto fuori di lì per i capelli: mi strappi dalle soglie della morte(Sl 9, 14). E già toccavano le soglie della morte.(Sl 107, 18)
Ci troviamo sempre con le mani vuote da offrire a Dio e al mondo e con un cuore vuoto come una cisterna che emette un’eco che provoca inquietudine, come eterni pellegrini, affamati e mendicanti di preghiera.
Ci salva l’inossidabile speranza dell’ultima soglia – come l’ultimo treno della vita – quella della vita eterna che noi non vorremmo proprio perdere.