Non tutti sanno che durante la seconda guerra mondiale, e precisamente nell’estate del 1943, visto l’aggravarsi della situazione bellica in Sicilia, il vescovo di Acireale mons. Salvatore Russo (1885-1964) pensò bene di mettere in salvo la statua a mezzobusto, rivestita d’argento, di Santa Venera, patrona della città di Acireale. Decise, quindi, che era opportuno custodirla in luogo sicuro anche il prezioso tesoro di gioielli, donati “ex voto” dai fedeli. Il timore era che questi oggetti di valore – economico ma ancora di più affettivo – potessero fare gola e rimanere in balìa delle truppe nemiche.
Come ha ben ricordato l’avv. Felice Saporita nel suo interessante volume “Acireale 1943”, il vescovo si consultò con alcuni parroci della città e, alla fine, decise che la statua dovesse essere portata e custodita nella casa parrocchiale della piccola località di Pennisi.
Racchiusa in una pesante cassa di legno, la statua di Santa Venera nei primi giorni di luglio venne condotta a Pennisi su di un carretto, scortato dai sacerdoti don Francesco Foti e don Carmelo Gresti; qui fu segretamente nascosta all’interno della casa canonica e, precisamente, nella stanza da letto del parroco, don Giuseppe Arcidiacono. Anche il venerato simulacro della Santa Patrona, quindi, come moltissimi altri acesi in quel tragico frangente della nostra storia, si trovò “sfollato” nella campagne circostanti.
Due residenti, allora bambini, ricordano ancora quei fatti: Rosaria Russo (sposata Zappalà) e Michele Fresta. Entrambi sono nati ed hanno sempre vissuto proprio accanto alla chiesa e alla casa canonica. La signora Russo riferisce che tutto avvenne in segreto e solo tempo dopo si raccontò ai paesani di come la statua era stata custodita dal parroco, che era il giovane don Giuseppe Arcidiacono (1906-1985). Il sacerdote, originario di Guardia, fu per sedici anni (dal 1931 al 1947) parroco di Pennisi e contribuì, anche con il suo lavoro manuale, alla ricostruzione della chiesa dedicata alla Madonna del Carmelo.
Testimone diretto di quegli eventi è Michele Fresta, classe 1935, di cui abbiamo raccolto un’importante testimonianza: “Allora avevo otto anni. Noi bambini andavamo a piedi scalzi e mi ricordo, abitando proprio in un casa attigua alla canonica, che una sera di luglio, mentre eravamo per strada, arrivò un carretto con un misterioso carico, che venne sistemato prima nel garage e, quindi, all’interno della casa canonica. Nel garage era nascosta anche l’auto di tale signor Catania, lo “chauffeur” del Vescovo Russo. Ho un vago ricordo di quel misterioso carico, che venne poi sistemato nella piccola stanza da letto di padre Arcidiacono, coperto con lenzuola e altro materiale”. All’inizio nessuno seppe che sotto quell’imballaggio si celava la statua a mezzobusto di Santa Venera; ma ben presto la voce si diffuse tra i residenti. “In quei giorni – riferisce Fresta – eravamo in una fase molto delicata della guerra; i cannoneggiamenti tra tedeschi e anglo-americani erano continui e terrorizzavano la popolazione. Ricordo ancora l’arrivo a Pennisi delle truppe alleate, era l’agosto del 1943; in particolare, mi ricordo dei soldati scozzesi, che indossavano il tradizionale gonnellino. Per qualche giorno gli inglesi installarono il loro comando proprio all’interno della casa canonica”.
Al termine degli eventi bellici, la statua verrà riportata ad Acireale.
Nel frattempo, e precisamente il 2 luglio, una cassetta contenente i preziosi ex-voto della Santa venne consegnata dal canonico Francesco Foti al barone Agostino Pennisi di Floristella, come risulta da una dichiarazione, firmata dal vescovo, dal podestà e dal presidente della Reale Cappella di Santa Venera, che così recitava: “Dichiariamo di aver affidato al dott. Agostino Pennisi, barone di Floristella, una cassetta sigillata contenente oggetti preziosi “ex voto” della Patrona di Acireale, Santa Venera. Il dott. Agostino Pennisi, da noi pregato, ha accettato di prenderla in consegna per occultarla, nel luogo e nella maniera che egli riterrà più opportuno, ad eventuali trafugamenti in dipendenza alla deprecabile occupazione nemica della nostra città”.
Facendo pieno affidamento sull’onestà e l’onorabilità del Pennisi, la cassetta (“di legno rustico, chiusa a chiave e sigillata con quattordici striscioline di carta bianca”) gli venne consegnata affinché provvedesse “da ottimo padre di famiglia per garantire come cosa sua stessa la conservazione dell’anzidetta cassetta”, sollevandolo, al contempo, da ogni responsabilità dipendente da avvenimenti “superiori alle forze umane”. Per fortuna, anche i preziosi ex voto, al termine del conflitto, fecero ritorno nella Cattedrale di Acireale.
Guido Leonardi