L’eccellenza agroalimentare in mani straniere

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Continua lo shopping di grandi gruppi industriali e finanziari. I nostri produttori sembrano non avere più le risorse e le energie per gestire le imprese. Preferiscono vendere e “fare cassa”. La Coldiretti invita a reagire, creando “quella filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori, per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”

Anzitutto, l’elenco: Perugina, Buitoni, Antica Gelateria del Corso, Stock, San Pellegrino, Locatelli, Invernizzi, Peroni, Sasso, Carapelli, Galbani, Orzo Bimbo, Bertolli, Eridania, Fiorucci-Salami, Gancia, Parmalat, Star, Riso Scotti, Chianti Classico. Ponendo la domanda ad alcune persone scelte a caso: “Cosa hanno in comune questi marchi alimentari?”, probabilmente la risposta sarebbe che “Sono tutti italiani”. Invece, risposta errata! La risposta giusta, purtroppo, è che sono tutti ex-italiani, nel senso che sono finiti dal 1988 ad oggi in mani straniere, pur mantenendo il nome e – speriamo – la qualità italiana. Ecco quindi che, quando la scorsa settimana si è appreso che il gruppo familiare siciliano Averna, produttore del “famoso” amaro, e anche proprietario di altri marchi rinomati (Amaro Braulio, Limoncetta di Sorrento, Grappa Frattina e altre partecipazioni) aveva ceduto l’azienda Pernigotti a un gruppo industriale turco, la Toksoz, un certo sconcerto si è diffuso negli ambienti agricoli e industriali del Paese. Un altro nome di prestigio, infatti, noto a livello internazionale per i suoi cioccolatini e gianduiotti, passa di mano e con esso non se ne va solo il capitale e l’intera proprietà di questa storica industria di Novi Ligure (Alessandria), ma rischiano di andarsene con essa 150 dipendenti e 150 anni di storia.
Dispersione del “made in Italy”? La vicenda dei gianduiotti italiani che diventano “turchi” suona come un vistoso allarme se non addirittura quasi come una campana a morto. Per tante ragioni: la prima è che un numero crescente di capitalisti italiani sembrano non avere più le risorse e le energie per gestire in proprio settori produttivi consistenti, e quindi preferiscono vendere e “fare cassa”. La seconda ragione consiste nel fatto che gli acquirenti stranieri nel settore alimentare gestiscono primarie aziende multinazionali che evidentemente trovano conveniente “investire” in Italia, acquisire il cosiddetto know-how, cioè i segreti alimentari e produttivi da noi creati, per poi rivenderseli nelle loro numerose società controllate in ogni parte del mondo. Oltre al danno quindi anche la beffa: ci sfilano le aziende, si impossessano dei nostri “segreti” e diffondono il “made in Italy” non secondo un principio della primaria difesa degli interessi italiani, bensì – si può immaginare – secondo il principio della massimizzazione dei profitti globali delle proprie conglomerate.

Coldiretti
Coldiretti

L’allarme di Coldiretti. Lancia l’allarme in questa direzione Sergio Marini, presidente della Coldiretti, proprio a riguardo della fabbrica di gianduiotti: “Con la vendita di Pernigotti – dichiara – sale ad oltre 10 miliardi il valore dei marchi storici dell’agroalimentare italiano passati in mani straniere dall’inizio della crisi, che ha favorito una escalation nelle operazioni di acquisizione del Made in Italy agroalimentare”. Marini rileva che l’acquirente, vale a dire il gruppo Toksoz, in Turchia è il maggior produttore mondiale di nocciole. “C’è da augurarsi che il cambiamento di proprietà non significhi lo spostamento delle fonti di approvvigionamento di una materia prima importante come le nocciole, a danno dei coltivatori italiani e piemontesi. I nostri, infatti, offrono un prodotto con più alti standard qualitativi. Il passaggio di proprietà – ammonisce poi – ha spesso significato svuotamento finanziario delle società acquisite, delocalizzazione della produzione, chiusura di stabilimenti e perdita di occupazione”. In questo caso, quindi, l’allarme appare giustificato. Anche perché non è trascurabile la cifra dei 10 miliardi di capitale produttivo, passato in pochi anni da mani italiane a mani straniere. E ben difficilmente farà il percorso contrario in futuro. Salvio una impennata d’orgoglio degli industriali italiani che appaiono sempre più rassegnati.
Chi sono gli acquirenti stranieri? Guardando allo “scaffale del Made in Italy che non c’è più” è interessante scoprire in quali mani sono finite le nostre aziende. Le sorprese davvero non mancano. Abbinando azienda italiana venduta ad acquirente straniero (solo qualche esempio su tutti) ecco che abbiamo le seguenti coppie: Perugina-Nestlè (Svizzera), Buitoni-Nestlè e Locatelli-Lactalis (Francia), Peroni-SAB Miller (Sud-Africa), Carapelli-SOS (Spagna), Rigamonti Salumificio-Hitaholb International (Olanda-Brasile), Chianti Classico-imprenditore di Hong-Kong, Gancia-oligarca russo Rustam Tariko, Riso Scotti-Ebro Foods (Spagna), Pelati Russo-Princess (Gruppo Mitsubishi, Giappone) ecc. Si potrebbe continuare a lungo. L’elenco è molto indicativo di quel rischio che Coldiretti esprime così: “Dall’estero si è passati ad acquisire direttamente marchi storici e il prossimo passo è la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero. Un processo di fronte al quale occorre accelerare la costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”.

                                                                                                                                                                                                                                      Luigi Crimella 

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