Un Paese che si appresta ufficialmente ad andare in vacanza - agosto è per definizione il nostro mese di “stacco” – non ha troppa voglia di pensare a quel numerino, il Pil, che le ultime statistiche danno ancora in discesa. Il governo aveva stimato per quest’anno una crescita della ricchezza dello 0,8%, niente di che ma comunque crescita e non recessione. Man mano che il 2014 avanza, la stima si assottiglia sempre di più: siamo ora allo 0,3%, un soffio dalla direzione sbagliata e anche quest’anno lo catalogheremo tra quelli neri.
Mal comune mezzo gaudio, se si guardano i Pil dei Paesi più industrializzati del mondo: tutti in ribasso, solo la Gran Bretagna sta correndo mentre gli Usa rallentano e pure la locomotiva tedesca mostra qualche acciacco. L’euro forte e una certa stagnazione dei consumi a livello mondiale penalizzano pure la birra e le lavatrici made in Germany, comunque in crescita di quasi 2 punti percentuali: cose che noi italiani non vediamo dai tempi dell’ultimo Mondiale di calcio vinto. Perché chi un pochino, chi di più ma tutte le economie stanno crescendo, a parte l’Italia.
Ecco, qui sta il punto. Nonostante il boom delle esportazioni; nonostante il debito pubblico con lo spread più basso da molto tempo a questa parte; nonostante l’attenzione generale verso lo stato dell’economia; nonostante un costo del denaro nominalmente a zero; nonostante varie “medicine” ingurgitate negli ultimi tre anni… non c’è verso di far ripartire l’economia. Se non cresce l’economia, non aumentano i posti di lavoro, né il denaro nelle nostre tasche; non si rivalutano le pensioni, non crescono le entrate fiscali, non si può tamponare il nostro mostruoso debito pubblico, che infatti cresce di mese in mese.
Vacanze, dimentico tutto; sarà settembre a riportare ansie e preoccupazioni, sarà l’autunno per definizione ad essere “caldo”. I nostri governanti sono stati invitati a ferie brevi e a continuare un’opera di riforme che stenta enormemente a diventare realtà. In fondo noi italiani odiamo i cambiamenti, e speravamo di uscire dalla crisi con il contributo di una bacchetta magica che avrebbe cambiato tutto senza cambiare niente.
Non è andata così, i nodi sono arrivati tutti al pettine e districarli non è mai stato piacevole. Ci sono nodi grandi che ormai da tempo elenchiamo: giustizia, lavoro, burocrazia, fisco… Ma la verità è che l’Italia è afflitta da una fittissima serie di piccoli nodi che sembrano averla paralizzata, che le impediscono di cambiare, di migliorare. Come quelle belle case che stanno andando in rovina in centro città, che sembra facile prenderle in mano e – con impegno e denari – farle tornare a miglior vita. Poi si scopre che gli eredi sono tanti e litigiosi, che la Soprintendenza vincola, che il piano regolatore impedisce, che la banca non finanzia… E la casa rimane lì a perdere un altro po’ d’intonaco.
Le cronache ad esempio ci informano che i treni tedeschi con auto al seguito non possono arrivare fino a Bolzano, perché astruse regole italiane impediscono loro il transito “per motivi di sicurezza”. Insomma il materiale rotabile tedesco non sarebbe abbastanza sicuro per la nostra rete: avessimo messo sotto accusa quello dell’Uganda, ci poteva stare; ma che i treni tedeschi siano meno sicuri dei nostri… Così i turisti o si fermano a Innsbruck, o rinunciano all’Italia preferendo altre mete. Poi ci stupiamo del fatto che un gioiello come la Sicilia abbia meno turisti dell’isoletta di Formentera: se il governo Renzi, oltre alle riforme epocali, metterà in piedi una task force per togliere tutta la ruggine che reumatizza la crescita dell’Italia, magari non sarà ricordato nei libri di storia ma sicuramente già così schioderà il Pil da quota zero. Scommettiamo?
Nicola Salvagnin