Lectio magistralis / Sgarbi disserta ad Acireale sull’arte nella vecchiaia

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Vittorio Sgarbi tiene una lectio magistralis

Inserita nel programma degli incontri del “Mese dell’arte sacra”, organizzati dalla Diocesi e dall’ Amministrazione comunale di Acireale, si è tenuta nella Basilica di S. Sebastiano la lectio magistralis di Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura. In una chiesa gremita di pubblico, presenti il sindaco Barbagallo, l’assessore alla Cultura Vincenzo Di Mauro, la presidente della commissione Cultura, Simona Postiglione, il canonico Alessandro Di Stefano, e molti rappresentanti del mondo culturale, politico e istituzionale acese.

“In extremis, l’arte nella vecchiaia”. Tema che – precisa Sgarbi – sarà anche quello di una mostra di prossimo allestimento presso le Scuderie del Quirinale. Le parole accompagnano le immagini che scorrono sullo schermo: rappresentazione della bellezza, della nostra cultura, del senso profondo del nostro essere italiani.
La vera Italia, il vero risorgimento – egli sostiene – è il Rinascimento. Prima di entrare in argomento il critico blandisce il pubblico acese. Accenna alla cura che la città ha sempre avuto per il proprio patrimonio e all’opera dei due artisti acesi Michele La Spina e Paolo Vasta, noti in città ma poco conosciuti fuori, che lui ha conosciuto e apprezzato da alcuni anni.lectio magistralis Sgarbi

Lectio magistralis: Sgarbi parla del martire Sebastiano

In linea poi con la prossima festa liturgica del martire Sebastiano, Sgarbi illustra alcune opere che rappresentano il santo più bello della cristianità, quello che ci parla di coraggio e forza, assimilabile all’Apollo greco e al modello di bellezza estrema del mondo classico, l’unico per il quale la Chiesa accede al nudo. Tanti gli artisti che lo rappresentano: il Dossi, il Carracci, Guido Reni, Mattia Preti.
Il Sebastiano di Antonello da Messina, oggi a Dresda, ci parla di natura; quello di Mantegna è invece storicizzato, rappresentato tra rovine romane; quello del Vasta, artista ponte tra la Sicilia e la Roma del Rinascimento e del Barocco, lo mostra giovane, vittorioso sulle frecce e curato da Irene. Meno gloriosa la fine del Vasta, che lo dipinse: morì segnato dalla malattia. A questo punto si inserisce la riflessione sulla vecchiaia, argomento della dissertazione.

Nella lectio magistralis di Sgarbi dissertazione sulla vecchiaia

La vecchiaia, momento della vita in cui si è vissuto più di quanto non resti da vivere, è solo male? Se si guarda alla dimensione della fisicità e dell’amore in certa misura sì, si attua un adeguamento nella dimensione dell’affetto, della consuetudine, dell’accudimento.
L’amore sensuale si lega alla giovinezza. Ma, se si guarda all’arte, essa non viene meno e l’artista da vecchio si proietta verso una dimensione altra rispetto a quella della semplice rappresentazione artistica, cogliendo una sintesi. Rappresentando l’inquietudine, il tormento per il decadimento, l’inconscio. O forse sarebbe meglio dire l’affaccio a una fine che prelude a un inizio. Al di là della forma l’artista coglie l’essenziale e supera i confini del contorno e perfino del colore, come a voler rappresentare non le cose ma lo spirito stesso.

Questo non può valere per Raffaello, che morì giovane, ma sì per Michelangelo e Tiziano, morti entrambi intorno ai novant’anni. E per svariati altri artisti, da Guido Reni a Monet a Balthus.

In Michelangelo la Pietà Rondanini, ultima opera realizzata, scolpita a ridosso della morte, rappresenta con l’uso della materia non finita, deformata, l’idea di una non rassegnazione alla brutalità innaturale della morte di un figlio prima della propria. La madre non culla tra le braccia il Cristo ma lo sostiene come a volergli trasmettere la vita. In Tiziano le ultime opere acquistano un movimento che sembra rappresentare il tormento interiore.

Così Apollo che scuoia Marsia perde la sua armonia e rappresenta il male che supera i confini dei sensi. Caravaggio, benché muoia giovane, vive nella sua vita travagliata come concentrata anche una dimensione di ”vecchiaia” interiore. E nell’Adorazione dei pastori del Museo regionale di Messina c’è tutto il dolore e il buio di chi sa che tutto finirà. Monet modifica nel corso degli anni le sue Ninfee trasformando il laghetto in uno stagno e quindi riducendole a macchie di colore.
La maturità nei pittori, la loro vecchiaia non ha comportato un non cogliere ma una diversa comprensione e rappresentazione, una differente visione. Che tende all’oltre e a Dio.

Non sarà stato semplice al critico d’arte partecipare a questo evento in cui doveva rapportarsi col pubblico dopo l’avvio di un procedimento a suo carico per il quadro attribuito a Manetti. Da apprezzare che, nonostante indagato, non si è sottratto al confronto. Senza arroganza e trattando con umanità e con profondità sentita il tema del limite della vita e dell’uomo.  E magari l’applauso caloroso del pubblico è nato, oltreché dalle dotte conoscenze dimostrate, anche dalla percezione di questo.

Maria Ortolani

 

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