Sono dieci le strutture che vengono indicate come pericolosissime perché costruite in aree a rischio idrogeologico. Dal tribunale di Borgo Berga di Vicenza alla Casa dello studente di Reggio Calabria, passando per il cinema Multisala di Zumpano (Cosenza). Ma l’elenco non finisce qui e comprende persino un deposito di materiali radioattivi a Saluggia (Vercelli). E non manca neppure Roma con l’Isola Sacra.
Non è catastrofismo. C’è perfino una scuola, l’istituto di Aulla in provincia di Massa e Carrara, realizzata sul letto del fiume Magra, e un centro commerciale in provincia di Chieti, a soli 150 metri dall’argine del fiume Pescara. Ecco spiegato il motivo che ha spinto Legambiente a chiamare il dossier “Effetto Bomba”. Non per eccesso di catastrofismo, dunque, ma perché queste realtà rappresentano vere e proprie bombe ad orologeria pronte a polverizzarsi al prossimo evento meteorologico avverso. “Occorre cambiare al più presto le forme di intervento nel territorio e ripensare la pianificazione urbanistica attraverso la chiave dell’adattamento al clima”, ha dichiarato il vice presidente di Legambiente, Edoardo Zanchini. “Prima, però, serve una svolta culturale: i cambiamenti climatici ci obbligano a guardare in modo diverso al territorio, perché una gestione sciagurata può comportare rischi enormi sia per le persone sia per le cose”.
Cifre allarmanti. Secondo le stime di Legambiente, sono oltre 6mila i Comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico e più di 6 milioni di persone vivono in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni. Larga parte della responsabilità è da imputare, come spesso accade, all’urbanizzazione sfrenata che in questi anni ha interessato anche le aree a maggior rischio. Solo negli ultimi 15 anni si sono verificati più di 2mila eventi atmosferici estremi con frane e allagamenti che hanno causato la morte di oltre 300 persone. E dal 2010 ad oggi, per ricucire i danni, si è reso necessario uno stanziamento economico di oltre un miliardo di euro.
Non basta investire. Molto spesso, però, investire denaro non è servito a molto. Ad Aulla, ad esempio, dove sorge la scuola annoverata fra le spade di Damocle da Legambiente, solo quattro anni fa si è verificata la più grave esondazione del fiume Magra. Il tragico bilancio di allora fu di due morti, molti feriti e decine di case distrutte. Nonostante il disastro, peraltro annunciato, in questa città per oltre 10 anni si è continuato a costruire. E sono state autorizzate attività commerciali e abitazioni in un’area dichiarata a ‘Rischio idraulico molto elevato’. Per queste responsabilità , undici tra ex sindaci e funzionari comunali sono stati rinviati a giudizio per disastro e omicidio colposo e subiranno un processo.
Edifici pericolanti e siti da spostare. Ci sono poi edifici pericolanti che non sono stati sottoposti nemmeno alla Valutazione di impatto ambientale. È il caso del ‘Megalò’, il centro commerciale più grande d’Abruzzo, realizzato con il benestare delle amministrazioni locali. Peccato, sottolinea Legambiente, che sia pressoché noto a tutti che l’area in questione costituisca una cassa di espansione naturale del fiume Pescara. Ma costruite in aree a rischio inondazione ci sono anche le segherie di Carrara e l’area artigianale di Genova, quest’ultima teatro dei danni e degli allagamenti più drammatici che si sono verificati nel corso dell’alluvione del 2014. Fra gli edifici che, secondo Legambiente, andrebbero spostati al più presto, figura anche il deposito di materiali radioattivi di Saluggia, paesino di 4mila persone in provincia di Vercelli. In questo caso il pericolo è doppio perché, in caso di alluvione, la fuoriuscita di materiali altamente radioattivi contaminerebbe il fiume e le falde, provocando un vero e proprio disastro ambientale. Anche qui, nonostante numerose associazioni ambientaliste ne chiedano a gran voce lo smantellamento, la struttura resta piantata da più di 40 anni.
Roma non è risparmiata. Per finire, c’è l’Isola Sacra di Roma, un’area racchiusa tra le due bocche della foce del fiume Tevere, dove vivono quasi 30mila abitanti. La zona, composta in gran parte da edifici abusivi, è considerata dall’Autorità di bacino del Tevere come area “ad alta probabilità di alluvione”. Poco importa che dal 2008 a oggi l’isola sia stata investita (per ben quattro volte) da forti piene che l’hanno completamente sfigurata: in questa piccola frazione del comune di Fiumicino si continua a costruire.