Da anni nel nostro paese si parlava della necessità di modificare la legge elettorale nazionale del 2005, nota come Porcellum per via del modo poco lusinghiero in cui ebbe a definirla il suo stesso estensore, il leghista Calderoli (“una porcata”). Finalmente l’attuale governo è riuscito a fare approvare dalla Camera dei deputati una nuova legge – soprannominata Italicum – che ora deve passare al vaglio del Senato: passaggio dall’esito non scontato, anche perché strettamente collegato ad un’altra rilevante questione in ballo, la riforma della Costituzione. La complessa problematica, che (nonostante il diffuso disinteresse dei cittadini) è molto rilevante per la qualità della nostra democrazia e della nostra convivenza, è stata affrontata dalla Diocesi e dal Lions Club di Acireale in due incontri pubblici, di cui il primo, tenutosi il 14 marzo, ha riguardato la riforma della Costituzione. Il secondo incontro, organizzato insieme all’Accademia degli Zelanti, su “Crisi dei partiti e riforma della legge elettorale”, si è svolto lo scorso 28 marzo nella Sala Cosentini della Biblioteca Zelantea.
Dopo gli interventi di apertura del dott. Giuseppe Contarino, Presidente dell’Accademia, e del dott. Pietro Currò, Presidente del Lions, il giornalista Nino Milazzo ha illustrato il tema di discussione ed ha quindi dato la parola ai relatori: il prof. Oreste Massari, Ordinario di Scienza della Politica all’Università di Roma La Sapienza, e il prof. Agatino Cariola, Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Catania. Il Porcellum è stato oggetto di critiche principalmente per due motivi: il primo, per aver tolto all’elettore la possibilità di scegliere – attraverso il voto di preferenza – il candidato/i candidati che riteneva più affidabili all’interno della lista prescelta, rendendo così determinante l’ordine di lista dei candidati, definito dai vertici dei partiti secondo i propri calcoli. E’ evidente che a questo punto gli eletti, scelti non dal popolo, tendono a muoversi non nella logica della rappresentanza della nazione ma in quella della fedeltà al proprio leader. Con l‘effetto di far crescere la già diffusa percezione del distacco esistente tra gli elettori e chi ne dovrebbe rappresentare le istanze: la classe politica, vista come una “casta” chiusa, intenta a perseguire solo gli interessi propri e dei propri “clientes”. Il secondo motivo di critica al Porcellum è il “premio di maggioranza” che attribuisce alla lista – o alla coalizione di liste – che totalizza il maggior numero di voti (qualunque esso sia), il 55% dei seggi (il calcolo viene eseguito a livello nazionale per la Camera; a livello regionale per il Senato). È così possibile che la maggioranza in Parlamento venga attribuita ad una forza politica che è minoranza nel paese, mentre la sovranità appartiene al popolo, il quale la delega ai suoi rappresentanti, per cui i rapporti di forza in Parlamento dovrebbero rispecchiare gli orientamenti del corpo elettorale. Altro inconveniente: per via dei diversi criteri di attribuzione del premio di maggioranza, è possibile che la stessa coalizione abbia la maggioranza in una Camera e non nell’altra (in atto, la coalizione di centrosinistra: alla Camera dei deputati, avendo ottenuto il 29% dei voti, detiene il 55% dei seggi; al Senato, avendo ottenuto il 31% dei voti, ha solo il 39% dei seggi: quindi ha la maggioranza alla Camera ma non al Senato). I limiti sopra illustrati – ampiamente denunciati nel pubblico dibattito – sono stati infine ritenuti in contrasto con la Costituzione dalla Corte Costituzionale, con una sentenza pubblicata il 15 gennaio scorso. A questo punto la riforma del Porcellum è diventata improcrastinabile. In realtà, però, l’Italicum – pur muovendosi all’interno degli spazi, necessariamente ampi, suggeriti dalla Corte Costituzionale – non ha modificato radicalmente la logica del Porcellum: non reintroduce le preferenze e lascia le “liste bloccate”, che però comprenderanno pochi candidati, da tre a sei; in tal modo, l’elettore dovrebbe poter tenere maggiormente in conto l’identità delle persone cui il partito affiderà la sua sorte. In quanto al premio di maggioranza, esso sarà assegnato solo se la lista – o la coalizione di liste – più votata avrà raggiunto il 37% dei voti. Se nessuna arriverà a tale percentuale, si procederà al ballottaggio tra le due liste/coalizioni più votate. Sono state così scartate le opzioni che avrebbero potuto eliminare in radice i limiti del Porcellum: la soppressione del premio di maggioranza e la reintroduzione del voto di preferenza, ovvero l’adozione del sistema uninominale (in ogni collegio, è in palio un solo seggio, e ogni partito presenta un solo candidato: come nella legge Mattarella, vigente prima del Porcellum). Cosa c’entra la legge elettorale con la crisi dei partiti? La questione di base è il sempre più diffuso sentimento anti-partito, che – come si è detto prima – vede in essi non l’espressione del corpo elettorale (o della “società civile”, espressione ampiamente usata, non sempre a proposito), ma una “casta” professionale chiusa. Sentimento che, per la verità, non è una reazione all’attuale situazione, ma rappresenta una costante della vita politica italiana. I relatori sono stati concordi nell’esprimere la convinzione che la nuova legge elettorale non servirà a cambiare la situazione. Il potere delle nomenclature dei partiti potrà consolidarsi, non migliorerà di molto il rapporto di vicinanza tra elettori ed eletti. E allora? Per risolvere il problema della crisi dei partiti occorreranno altri approcci. Per il prof. Cariola, per capire i problemi della nostra democrazia, dobbiamo partire dalla nostra storia: caratterizzata, ad esempio, da un’antica tendenza del nostro sistema parlamentare a fare eccessivo ricorso al Capo dello Stato per superare le crisi politiche; e dalla prassi consolidata dei partiti di sottrarsi alle loro responsabilità politiche davanti al paese, con l’accorgimento di tenere separate leadership (segretari di partito) e premiership (Presidenti del Consiglio), in modo da attribuire – all’occorrenza – solo a questi ultimi (e non anche gruppi dirigenti che li esprimono) la responsabilità di un’azione di governo insoddisfacente. Per il prof. Massari, la partitocrazia italiana, che non ha eguali in altri paesi europei, è anche il risultato del lungo periodo in cui la nostra è stata una “democrazia bloccata”; tuttavia, nella prima parte della nostra storia repubblicana i partiti hanno saputo esprimere anche figure di grande spessore ed hanno svolto un ruolo positivo rilevante; la degenerazione degli anni ’80 e la crisi dei primi anni ’90 hanno portato alla scomparsa dei grandi partiti di massa (DC, PCI, PSI) e all’emergere di nuovi soggetti politici che sono instabili, mentre abbiamo bisogno di partiti solidi, in grado di assumersi responsabilità politiche. Non si muove in questa direzione e non fa crescere la democrazia l’attuale tendenza ad una personalizzazione del confronto politico (alcuni partiti sono manifestamente del “partiti personali”). Il cittadino – cui non viene concesso di scegliere le persone dei parlamentari – è attualmente chiamato a scegliere direttamente il capo del governo, il cui nome è incluso nella scheda elettorale. Questo, malgrado la Costituzione preveda il contrario, muovendosi nella logica della “democrazia rappresentativa” incentrata sul Parlamento, anziché in quella delle democrazie presidenziali o comunque basate sul “governo forte”: memore della facilità con cui il nostro paese seppe entrare nella logica dell’ ”uomo della Provvidenza” cui rilasciare una delega in bianco per venire a capo della complessità dei problemi. Tentazione che non ci è estranea oggi, complici la persistente crisi socio-economica che investe il nostro paese e la diffusa carenza di coscienza civile (secondo alcuni, il principale ostacolo alla emancipazione del nostro Mezzogiorno), rafforzata dal vuoto culturale che caratterizza la nostra “società dei consumi” non più in grado di “consumare” (ciò che richiede una difficile “conversione” di mentalità), e in cui, un numero crescente di famiglie si trova a non poter più disporre neanche del necessario. Su questi temi occorre riflettere e confrontarsi di più, per arrivare ad una progettualità realistica e non populista, razionale e non emozionale, pensata e non urlata, radicata nella storia, che ci consenta di costruire il futuro.
Salvatore Leonardi