Leggere è pensare / Contraddizioni da manuale. Troppe semplificazioni di Marcelo Barros in “Evangelo e istituzioni”

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“Non possiamo permetterci, in nessun caso, di parlare male degli avversari, di diffondere calunnie su di loro o di diffamarli. La profezia esige a questo punto un comportamento etico rigoroso: bisogna attenersi al principio di criticare solo apertamente e faccia a faccia”.barros_libro

Il messaggio di Marcelo Barros, monaco benedettino e teologo tra i più impegnati nelle comunità di base e nella difesa dei più deboli, non solo in Brasile, la sua terra, è esplicito: non si deve demonizzare, ma il mondo è diviso in due parti, i ricchi e i poveri. E i ricchi hanno in assoluto la colpa della povertà degli altri. Le vie di mezzo, che si chiamino socialismi democratici, o tentativi di una nuova forma di superamento che non porti a conflitti civili (un po’ quello che tentarono di fare Berlinguer e una parte della Dc in Italia dopo il colpo di stato del 1973 in Cile) non sono contemplate.

In “Evangelo e istituzione” (Edizioni Messaggero Padova, 156 pagine) il nemico è unicamente e ancora una volta “l’impero nord-americano” che vuole imporre a tutti il suo modello, nonostante Barros metta in guardia, in altre pagine, a non generalizzare e a contestualizzare gli elementi della fede e della storia. L’edizione italiana  è del 2014, il che vuol dire che dovrebbe essere in grado di storicizzare quello che è accaduto in questi anni: la rivelazione che molti  socialismi reali erano stati campi di concentramento; che in taluni casi, come la Cambogia, inermi popolazioni erano state sradicate con la violenza dalle città, trasferite in massa nelle campagne e gli intellettuali fatti sparire in fosse comuni. Che in Cina il processo rivoluzionario maoista – come aveva ben notato uno che non poteva essere accusato di filo-americanismo, Tiziano Terzani – ha portato a sordide lotte di potere con migliaia di morti e con processi sommari, e ad un capitalismo di Stato che adesso detiene la maggioranza della Pirelli e di altri colossi industriali; che altrove il comunismo è crollato per le sue debolezze intrinseche e per le vessazioni cui la gente era stata costretta; che dovunque, dall’Albania all’Urss, queste forme di “socialismo” hanno perseguitato le chiese e le fedi, anche quelle non istituzionali come il buddhismo. Tutto questo sembra non esserci mai stato. Gli Usa sono il nemico da battere sempre, e la presidenza ad un uomo di colore – che ha cercato di cambiare il privatissimo sistema della sanità –  è solo un piccolo e ininfluente particolare. Tutti gli orrori di altri sono da imputare agli Stati Uniti. Il che non vuol dire che siano esenti da colpe, anzi: gli errori di valutazione in Vietnam e nella guerra del Golfo sono ancora oggi forieri di guai seri per l’Occidente, e le loro multinazionali hanno fagocitato ampie fette di mercato. Ma di egemonie economiche e culturali ve ne se sono state e ve ne sono ancora altre, anche se di queste qui non si parla. La lotta contro la miseria, la povertà, lo sfruttamento della prostituzione, la malattia non curata avrebbe meritato un libro con meno tentazioni manichee.

Non tiene conto tra l’altro di come alcune derive d’Occidente nascano da una concezione dell’uomo materialistica e finalizzata al consumo, non formatasi solo negli Usa, ma nell’Europa che leggeva alcuni princìpi solo in funzione di una libertà senza limiti, oltre tutto di esclusiva pertinenza borghese, con le masse fuori dal gioco degli eventi. L’individualismo e l’isolamento dell’essere umano vengono da una concezione dell’individuo come macchina produttiva da spegnere una volta finita la sua utilità. Non si tratta dell’illuminismo, ma di alcuni esiti e alcune letture parziali dell’illuminismo, che hanno portato alla attuale condizione di schiavitù delle merci e ad economie che non guardano alla sofferenza del singolo, come invece prescriverebbero proprio i principi illuministici. Demonizzare un solo Paese e affibbiargli tutta la croce dell’attuale stato di cose è riduttivo e non coglie la complessità di una realtà che vede i fondamentalismi nascere e prendere piede molto prima, e rafforzarsi solo dopo le persecuzioni dei paesi totalitari contro le religioni.

L’attacco di Barros alla gerarchizzazione della Chiesa può essere certamente condiviso, se si vedono le cose nella loro complessità: perché papa Francesco, che finanche nel nome scelto ricorda il santo d’Assisi così caro a Barros e a chi scrive, è frutto di questa Chiesa, che come tutte le umane cose, è soggetta ad errori e cadute. Se tutto questo è per alcuni troppo poco, è anche vero che la realtà offre delle possibilità che possono essere colte nel qui e nell’ora, con la collaborazione di tutti, a patto che ognuno non assolutizzi il proprio discorso.

Marco Testi