Quando gli specialisti si sono accorti che la grande Storia è frutto delle cosiddette micro-storie, la ricostruzione degli eventi in un preciso territorio ha conosciuto un notevole impulso: le storie locali rivelano una parte di umori, fatti, idee che insieme contribuiscono a capire la macro-Storia, quella che leggiamo sui libri di scuola. Come nel caso del primo conflitto mondiale.
Sono cento anni dall’entrata in guerra del nostro Paese: ne conosciamo gli aspetti generali, i condizionamenti economici, le ideologie sottese all’intervento, gli scontri tra le due grandi componenti, quella schierata a favore dell’entrata nel conflitto e quella neutralista, ma ignoriamo come le nostre città abbiano reagito di fronte a quelle drammatiche dinamiche, quali siano state le reazioni della gente comune, le ricadute sull’economia locale.
Da un po’ di tempo, però, si sta facendo chiarezza, come nel caso di “Il Piave mormorava” (Quaderni di studi lodigiani, 625 pagine) di Ferruccio Pallavera e Angelo Stroppa, che ricostruisce gli eventi bellici nel Lodigiano. Un’opera assai documentata, anche a livello di immagini, scritta da due giornalisti (Pallavera è il direttore del quotidiano “Il Cittadino” di Lodi) esperti in storiografia locale che sono riusciti nell’arduo compito di raccogliere cifre, nomi, luoghi, eventi che hanno investito la loro zona in quegli anni cruciali.
Ma vi è di più. Il libro affronta eventi paralleli, come la rivoluzione d’ottobre in Russia, attraverso il dibattito sui giornali locali. I fatti russi sono messi in relazione con l’andamento della guerra, evidenziando, almeno ai nostri occhi, una comprensibile difficoltà a interpretare chiaramente l’azione dei Soviet, di volta in volta vista come iniziativa di una borghesia illuminata o pericoloso colpo di Stato messo in atto da una minoranza armata.
Le immagini, ad esempio, sono davvero intriganti e parlano più di ogni parola: una foto mostra un anziano e una donna che trascinano con delle corde un carretto carico di masserizie e spinto da vecchi e bambini: sono i profughi in fuga dalle zone di guerra. Immagine eloquente, come le parole di una giornalista lodigiana che era costretta ad esclamare, trasgredendo le norme dell’impassibilità professionale: “Povera gente che pena! Hanno negli occhi un dolore muto, un dolore che non si confida. Hanno nella loro attitudine, un poco sospettosa, la santa rassegnazione propria della gente semplice: nessuno piange, è dolore dignitoso, il loro”.
I due giornalisti e storici affrontano tutto lo scenario legato alla dimensione della guerra: la cornice internazionale, l’impegno per la pace da parte del mondo cattolico, il discorso interventista di Cesare Battisti a Lodi, le divisioni dell’arcipelago socialista di fronte alla guerra, il processo a dieci sacerdoti accusati di essere contrari alla guerra, condito dalla pressione di organi di stampa e governativi affinché si usasse la mano pesante verso di loro. Anche perché una minoranza del clero lodigiano non aveva molta simpatia per la Francia post-rivoluzionaria e anti-clericale e vedeva più di buon occhio l’alleanza con l’Austria “baluardo della cristianità”.
I provvedimenti legati agli eventi, come la chiusura di alcuni negozi, la limitazione dei consumi, ad esempio il razionamento della carne, il calmiere per i prezzi del burro, delle patate, delle uova sono messi in risalto, per mostrare come quella guerra non fosse limitata al fronte, ma avesse notevoli ricadute sulla cittadinanza: la drammatica disoccupazione che colpì la zona, ad esempio, e la povertà dovuta non solo all’assenza di braccia, ma anche alla chiusura di aziende una volta assai floride, come il “Filandone” che mise per strada 400 donne.
Un libro assai utile a verificare nel corpo vivo di una comunità civile i reali e tangibili problemi che comportò il primo conflitto mondiale, con una impressionante messe di documenti, cronache, immagini e foto che rivelano molti aspetti che la grande Storia talvolta dimentica di far conoscere. Soprattutto il destino della povera gente.
Marco Testi