“Ettore Majorana era religioso. Il suo è stato un dramma religioso, e diremmo pascaliano. E che abbia precorso lo sgomento religioso cui vedremo arrivare la scienza, se già non c’è arrivata, è la ragione per cui stiamo scrivendo queste pagine sulla sua vita”.
Così scriveva Leonardo Sciascia in “La scomparsa di Majorana” (Adelphi, 119 pagine, con una conclusione di Lea Ritter Santini) riferendosi alle tante ipotesi che vennero formulate nel corso degli anni da quando il geniale fisico italiano scomparve misteriosamente il 26 marzo (data di un’ultima lettera a un collega) dopo che era giunto a Palermo con una nave “postale”, partita da Napoli il giorno prima. Il libro dello scrittore, siciliano come Majorana, vide le stampe quarant’anni fa: perché ne parliamo oggi, soprattutto quando nuove rivelazioni (che non vuol dire siano la verità) si sono succedute in questi anni, ivi compresa una richiesta di archiviazione da parte della nostra magistratura perché i dati di un italiano emigrato in Venezuela negli anni Cinquanta del secolo scorso corrisponderebbero a quelli di Majorana? Perché emerge un elemento importante, soprattutto tenendo conto della tenace laicità di Sciascia: la questione religiosa non è per statuto antagonista della scienza, e ci sono sempre stati grandi scienziati credenti, alcuni dei quali addirittura sacerdoti: ma per questo rimandiamo a “Scienziati in tonaca” (La Fontana di Siloe, 134 pagine) di Francesco Agnoli e Andrea Bartelloni, che Sir ha già segnalato tempo fa.
Sciascia sta parlando dei motivi plausibili che hanno portato lo scienziato a sparire per sempre. E, da consumato scrittore, tesse lentamente una suggestiva rete interpretativa, al centro della quale si inizia a intravedere la possibilità del ritiro in un monastero. Romanzesco, forse scontato (ma vi sono alcuni interessanti riscontri), letterario magari, ma questo non vuol dire nulla. Anche perché Sciascia continua a cercare – e nel contempo a lasciare segni di passaggio – in questo labirinto di indizi, che nasconde, ma fino ad un certo punto, un tentativo di decodificare i segni del mondo. E il labirinto gli lascia trovare un’ipotesi, assai suggestiva, di uscita. Perché in convento porterebbe anche un’altra strada. In quello stesso convento si vocifera che sia stato accolto “o ancora si trovasse uno dell’equipaggio del B-29 che aveva sganciato su Hiroshima l’atomica”.
Da qui si dipartono altri sentieri, alcuni indiziari, altri interpretativi, perché il grande scienziato che giovanissimo aveva preceduto (senza rivendicarlo mai) alcune teorie di Heisenberg, e il pilota di Hiroshima qualcosa in comune l’avevano: lo spettro della morte atomica. È probabile che – è accaduto ad altri scienziati – Majorana avesse intuito alcune conseguenze di ricerche sempre più spinte in avanti e in grado di sconvolgere qualsiasi precedente previsione scientifica. Non solo, ma, sembra di intuire tra le righe di questo libro, il discorso si farebbe ancora più radicale. Perché il problema è l’andare oltre. Oltre le leggi poste dalla natura, tentando di forzarle, al di là dell’uso più o meno pacifico di questa nostra scienza. La stessa sorella dello scienziato, Maria, ricorda che Ettore soleva dire che “la Fisica è su una strada sbagliata”, e Sciascia cita una frase attribuita al fisico tedesco Otto Hahn allorché si iniziò a parlare di liberazione dell’atomo: “Ma Dio non può volerlo”.
Il senso religioso del misterioso destino di Majorana di cui parla Sciascia è stato anche quello di porre la questione della liceità dello spingersi oltre. Ed è su questo “oltre” che continua la discussione, non solo nella Fisica, ma anche in tutti gli altri aspetti della vita dell’uomo.
Marco Testi