“L’idea del divino e il sentimento religioso sussistono dunque a prescindere dall’uso strumentale che ne possono fare un ceto dominante o un’istituzione di potere”.
Roberto Giovanni Timossi è un filosofo che si aggira sulle frontiere “disciplinari”, vale a dire sulle linee di confine tra scienza, fede, arte, letteratura e il pensiero umano più in generale e che con “Nel segno del nulla. Critica dell’ateismo moderno” (Lindau, 397 pagine) si addentra nel terreno minato – e nel contempo seducente – del confronto con la negazione di Dio. Lo fa confrontandosi con alcune accuse fatte alla fede: quella di essere nata come strumento di dominio, che nel ragionamento in apertura Timossi dimostra non corretta; lentamente dalle accuse strumentali l’autore passa ad affrontare il nucleo della questione, facendo i conti con l’ateismo, con il deismo (Dio è visto unicamente come causa non personale del mondo), con il panteismo (Dio e la natura sono la medesima cosa), con l’agnosticismo (la sospensione di giudizio), con il materialismo, lo scientismo, il razionalismo, fin dalle origini. Discorso encomiabile ma che è pressoché impossibile fare in sole quattrocento pagine: il lettore non specialista rischia di non riuscire a seguire i nessi e le innumerevoli variazioni delle forme ateistiche, le sottili distinzioni tra teismo e deismo, o tra alcune tendenze materialistiche.
Un lavoro del genere andava suddiviso almeno in due volumi per permettere a tutti di seguire questo vero e proprio viaggio nel pensiero ateistico e materialistico attraverso i millenni, a partire dalla filosofia greca (ma con incursioni che toccano anche le religioni orientali e il poema Enuma Elish, di area mesopotamica).
Il pregio di un discorso coerente, teso, lucido e capace di legare tra loro elementi così distanti ed eterogenei viene sminuito dalla massa di dati e riflessioni che meriterebbero uno spazio più articolato, in modo da dare respiro ad un lettore non specialistico.
Timossi ha tra l’altro il merito di presentare oggettivamente, senza demonizzazioni (peccato in cui spesso indulge la controparte ateistica) le idee di Democrito, Evemero, Spinoza, Voltaire, d’Holbach, Feuerbach, Marx, analizzandole, distinguendole e sottoponendo al lettore la complessità di un discorso del genere, perché ad esempio il panteismo di Spinoza è diverso da quello di Giordano Bruno, sul quale, e credo che Timossi sia d’accordo, varrebbe la pena di riaprire coraggiosamente il discorso, anche perché chi scrive ha dei seri dubbi che di panteismo nudo e crudo si possa parlare.
L’autore è talmente rispettoso delle idee altrui che in realtà lo spazio a queste offerto è di gran lunga più ampio di quello riservato alle ragioni dei credenti, ma alla fine queste ultime sono esposte in modo tale da lasciare certamente dubbi, non trattandosi di esperimenti in laboratorio, ma anche ponderate risposte alle tesi dell’ateismo.
Timossi privilegia giustamente le tesi di un importante psichiatra e psicologo, Viktor Emil Frankl, che confuta radicalmente le teorie di coloro che, come Schopenhauer, Nietzsche e Marx, pongono la prova della non esistenza di Dio nel meccanismo degli esseri unicamente volti al soddisfacimento delle proprie pulsioni elementari. Per Frankl, invece nell’uomo vi è una “volontà di significato”, che gli psicologi notano spesso nelle persone che dovrebbero sentirsi soddisfatte del loro successo o del loro benessere, e che invece sembrano cercare altro nella vita: “L’uomo -conclude Frankl- non è fatto per appagarsi e realizzarsi”, ma per superarsi, non nell’oltre-uomo di Nietzsche, ma in una “auto-trascendenza “, verso “qualcosa o qualcuno che ci trascende, che sta al di là e al di sopra di noi stessi”.
Quello che colpisce, nella lettura di questo libro, è l’estrema misura e compostezza delle risposte di filosofi, scienziati credenti e dello stesso autore del volume, che non insiste tra l’altro su un altro punto debole di alcuni rumorosi assertori della morte di ogni divinità: la tendenza ad una tuttologia onnivora, che talvolta diviene ansia e fetta di auto-imporsi e di divorare chiunque non sia d’accordo.
La psicoanalisi – quella nata dal laicissimo e ateo Freud – avrebbe molto da lavorare su qualcuno dei nuovi crociati alla rovescia.
Marco Testi