L’eredità del beato Giovanni Paolo II

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Una grande emozione ci ha avvolto fino alle lacrime in occasione della betificazione di Giovanni Paol. Lui ha fatto la sua parte, testimone della fede, evangelizzatore del mondo, ma anche amico dell’uomo di oggi, interprete dei sogni dei giovani, mediatore del dialogo tra i popoli, compagno di cammino per l’umanità che chiede di elevarsi dalla povertà e dalla miseria per andare oltre i confini dell’umano, diventare  divino. Ha parlato la nostra lingua, ha letto nei nostri cuori, ci ha insegnato a credere, a sperare, a lottare, a vivere e, perfino,  a morire.

Fondamentali per noi sono le encicliche che durante il suo pontificato ci ha consegnato. Già nella prima, la Redemptor hominis, la sua fede solida come roccia si esprimeva nell’indicare all’uomo la via dove trovare la sua identità: “Cristo è la via principale della Chiesa … ed è anche la via a ciascun uomo… non si tratta dell’uomo ‘astratto’, ma reale, dell’uomo ‘concreto’, ‘ storico’. Si tratta di ‘ciascun’ uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero ” (n.13) e aggiunge: “l’uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa”. E nella Dives in misericordia, l’anno successivo, rassicura il popolo di Dio, in quanto il Figlio ci mostra il cuore del Padre, ricco di misericordia. A questo cuore misericordioso Giovanni Paolo II si è affidato tanto da morire e venire beatificato nel giorno dedicato alla Divina Misericordia..

Colpisce che il Papa non si è fermato a evangelizzare i suoi figli dal punto di vista teologico e dei misteri della fede ma la sua attenzione si è allargata al mondo del lavoro, in cui non ha smesso di riconoscere i limiti e le contraddizioni delle ideologie materialiste che frenano lo spirito di collaborazione e di solidarietà, mercificando anche l’uomo, al quale la forza del denaro nega il primato dell’essere persona, che aspira al trascendente e all’universale; e l’attenzione particolare nei riguardi della famiglia, che riconosce come “la prima e più importante via della Chiesa”(1994), nei riguardi dei bambini, invitando il mondo intero a dare loro un futuro di pace e nei riguardi della donna  (Mulieris dignitatem, 1988).

Bellissima la lettera che ha dedicato alle donne, parlando al cuore di ognuna, riconoscendo in lei quel “genio femminile” che la fa essere sposa, sorella, figlia e madre di ogni uomo, a prescindere dalla sua capacità di generare. “Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani”. Ma il Grazie non basta, il suo grazie si fa appello per restituire alle donne il pieno rispetto della loro dignità e del loro ruolo nel mondo, che porterà alla conferenza di Pechino (1995) perché si tenga conto “non soltanto delle donne grandi e famose vissute nel passato o nostre contemporanee, ma anche di quelle semplici, che esprimono il loro talento femminile a servizio degli altri nella normalità del quotidiano” (n.12), non trascurando di riconoscere la complementarietà con il maschile: “La donna è il complemento dell’uomo, come l’uomo è il complemento della donna: donna e uomo sono tra loro complementari. La femminilità realizza ‘l’umano’ quanto la mascolinità, con una modulazione diversa e complementare” (n. 7).

Ora tocca a noi! Nella Christifideles laici ci ha indicato la strada per evangelizzare i luoghi delle nostre attività ove siamo chiamati ad essere autentici uomini e donne di speranza per il futuro del mondo e per l’umanità.  Coraggio, il testimone ci ha consegnato la sua eredità, non disperdiamola!

Teresa Scaravilli