Certi personaggi subiscono più di altri la propria reputazione, cosa che in alcuni casi è paragonabile alla cancellazione della loro memoria o, nel migliore dei casi, alla creazione di una oscena ed errata. Questo è il caso di Domenico Tempio, poeta siciliano vissuto tra il XVIII e XIX secolo.
Domenico Tempio, le origini del poeta
Domenico Tempio nacque a Catania il 22 agosto 1750 da Giuseppe Tempio e Apollonia Arcidiacono. La sua era una famiglia di mercanti di legna e, essendo nato come terzo figlio, essi lo volevano destinare alla carriera ecclesiastica. Ma non conseguendo particolari risultati, nel 1773 lasciò il seminario per gli studi giuridici. Anche quest’ultimi fallirono, portando Domenico agli studi letterari dove invece si distinse.
Domenico Tempio, una vita segnata da lutti familiari
La sua vita venne travolta dalla morte del padre, avvenuta nel 1775, costringendolo a condurre l’impresa familiare. Per lui le sfortune continuarono poiché contrasse molti debiti, venendo ridotto alla miseria. In seguito perse la madre e la moglie Francesca Longo, morta per parto. L’unica fortuna ad alleviare tali dolori fu l’amore per Caterina, la balia che si occupò della figlia neonata, la quale l’aiutò sempre nelle sue difficoltà. Fondamentale negli ultimi suoi anni fu anche l’aiuto di alcuni suoi amici, i quali lo aiutarono ad ottenere un vitalizio dal Monte di Pietà e dalla Mensa vescovile, e infine una pensione dal comune di Catania nel 1819. Il poeta morì il 4 febbraio dell’anno seguente.
Tempio, gli studi classici e la poesia satirica
Studiò e tradusse classici latini e della letteratura italiana, fino agli intellettuali del 500’, ed entrò pure in contatto con le opere di Charles Rollin e Antoine-Yves Goguet. L’uno fu un rettore Giansenista del Collegio di Francia, che si rifiutò di entrare nell’accademia più prestigiosa del paese transalpino per rimanere indipendente. Il secondo fu un noto oppositore alle teorie di Rousseau.
Ciò ispirò Domenico il quale, pur già scrivendo poesie irriverenti, diede uno scopo di satira e denuncia sociale alla sua opera. Presto Domenico Tempio riuscì distinguersi grazie ai suoi raffinati studi letterari, i quali lo portarono ad entrare nell’Accademia dei Palladi, prestigiosa associazione per la cultura e le scienze diffusa e operativa ancora oggi in tutta l’Italia, e nel circolo letterario di Ignazio Paternò di Biscari.
Tempio, il poeta della denuncia sociale
Perché per lungo tempo è stato considerato un poeta dimenticato, o incompreso? Le sue opere principali sono varie poesie, quasi del tutto scritte in dialetto, che possedevano un linguaggio diretto, volgare, e a volte promiscuo, tanto da procurargli l’etichetta di letterato pornografico e quindi ostracizzarlo per un grande lasso di tempo dopo la sua morte. La riscoperta del valore di Domenico Tempio come poeta è della nella metà del secolo scorso. In realtà, per quanto è comunque indubbio che alcune delle sue opere siano effettivamente licenziose, il suo scopo era, come detto precedentemente, la satira e la denuncia sociale. Oltremodo i componimenti considerabili pornografici non erano affatto le sue opere principali, né quelle per cui oggi lo si conosce di più tra i letterati, i quali lo ricordano per il poema La Caristia.
Tempio, il poema “La Caristia”
Quest’opera infatti, tratta per l’appunto dalla carestia che afflisse Catania e i conseguenti moti popolari del 1797. Il focus è sulla miseria dei ceti umili, cosa tipica per altro di altri suoi componimenti dove denunciava l’indifferenza dei nobili. Nel caso specifico infatti le sollevazioni furono conseguenza delle misure del senato catanese, il quale in reazione aveva importato prodotti dall’estero, alzando drasticamente il prezzo del pane e costringendo così a un’insurrezione dei poveri disperati e indignati da queste misure.
I poveri saccheggiarono il palazzo municipale e i forni con violenza non dissimile dalla rivoluzione francese, di cui peraltro vi erano gli echi delle sue degenerazioni. Domenico, infatti, nella Caristia fu cantore e critico al tempo stesso dell’evento, col suo linguaggio diretto e realistico tanto che si può considerare un possibile precursore del Verismo.
Giuseppe Emanuele Russo