L’exploit dei populisti / La Danimarca rischia un referendum sulla Unione europea

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Nik Bredholt, presidente di Justitia et Pax danese, sugli esiti del voto: ”Il popolo danese non è abituato a tante diversità come si registrano in altri Paesi; è più omogeneo, ristretto, timoroso; lo si potrebbe definire una tribù, piuttosto che una nazione. Per esempio il nostro sistema sociale funziona molto bene, per cui c’è il timore di perdere dei benefici accogliendo immigrati o asilanti”.

bredholtpCambio al timone a Copenaghen dopo gli esiti delle elezioni del 18 giugno che hanno creato un panorama politico non privo di stranezze: esce di scena la prima premier danese donna, la socialdemocratica Helle Thorning-Schmidt, anche se il suo partito è stato il più votato (26,3%, +1,5% rispetto al 2011); ritorna al potere l’ex premier Lars Løkke Rasmussen, capo dei liberal-conservatori (Venstre), terzo partito in termini di preferenze (19,5%): ha perso il 7,2% di consensi dalle scorse elezioni ed è stato superato dal Partito del popolo danese (Dpp, 21,1%, con un aumento di 8,8% di voti), che per la prima volta entrerà al governo. Immigrazione, stato sociale e lavoro sono stati i temi branditi nel testa a testa pre-elettorale. Nik Bredholt, presidente di Justitia et Pax danese, commenta gli esiti della tornata elettorale.
La notizia che fa scalpore – e che ha subito fatto il giro d’Europa – è il trionfo del Dansk Folkeparti, formazione populista. Quali le ragioni di questo successo?
“Durante la campagna elettorale i sondaggi si erano avvicinati molto al risultato del voto. Ciò che è deprimente non è quindi il risultato in sé, ma il cima della campagna elettorale. La situazione non prevista è che il Partito del popolo, che entra nella coalizione di centrodestra, è più forte del partito Venstre del capo del governo e sarà quindi una grande sfida formare e guidare un governo. Un premier Dpp non sarebbe possibile: il Dpp è un partito nuovo, populista, arriva da una tradizione di protesta e contrapposizione e non è mai stato al governo, pur avendo sostenuto diversi governi dal 2001. Per contro i liberali, il cosiddetto ‘partito blu’, hanno una lunga tradizione alla guida del governo e non accetterebbero come primo ministro il leader del Dpp”.
La socialdemocratica Helle Thorning-Schmidt deve cedere il testimone, sebbene gli indicatori economici degli ultimi mesi siano stati molto positivi. Come si spiega?
“La valutazione dei risultati del governo Thorning-Schmidt è controversa. Gli indicatori economici sono decisamente positivi; ma molte scelte politiche da lei compiute sono andate contro la linea del suo partito; i sondaggi la davano perdente, in percentuali molto consistenti”.
Quanto peso ha avuto nel voto dei danesi il ricordo dell’attentato terroristico dello scorso febbraio a Copenaghen e la paura che esso può aver generato?
“Certamente un’influenza c’è stata, ma non è stato il motivo principale. Negli ultimi dieci anni, il Dpp è stato sempre in crescita. Il cambio di leader nel 2012, dalla sfrontata Pia Kjærsgaard, a Kristian Thulesen Dahl, un ragazzo per bene, elegante, gentile, ha attratto molti voti, anche se la linea politica non è cambiata. La spiegazione sta nel popolo danese stesso, non abituato a tante diversità come si registrano in altri Paesi, più omogeneo, ristretto, timoroso; lo si potrebbe definire una tribù, piuttosto che una nazione. Per esempio il nostro sistema sociale funziona molto bene, per cui c’è il timore di perdere dei benefici accogliendo immigrati o asilanti. E questi aspetti sono stati fortemente sottolineati nella campagna elettorale”.
Quali previsioni politiche si possono fare in settori come le migrazioni o le relazioni con l’Ue?
“Tradizionalmente i partiti di governo hanno sempre sostenuto l’Ue, ma certo il Dpp è molto più critico e guarda alla Gran Bretagna come a un esempio; potrebbe anche proporre un referendum sull’appartenenza all’Unione europea; vorrà limitare la migrazione e la libertà di movimento. Forse i forti toni usati in campagna elettorale ora verranno smorzati, ma un punto che porteranno avanti è limitare o sospendere gli accordi di Schengen. Non so come reagirà l’Ue in caso di questa infrazione delle regole comunitarie”.
Parole come solidarietà, bene comune, che appartengono alla tradizione cattolica, ma sono condivise anche dalla chiesa maggioritaria luterana, dove sono in Danimarca?
“Qui in Danimarca i cattolici non sono certo soli a parlare di solidarietà. Di recente due vescovi luterani hanno definito ‘atto codardo’ la proposta del governo di tagliare i fondi per gli aiuti allo sviluppo. Di fatto il nuovo governo sarà per molti versi simile a quelli che lo hanno preceduto. Potrebbe esserci qualche restrizione in materia di asilo, qualche critica all’Ue, ma non molto di più. Le decisioni politiche più importanti, come le leggi finanziarie, sono generalmente sostenute dal consenso. E credo che questa tradizione continuerà. Così come non verranno stravolte decisioni prese dal governo precedente in materia fiscale, per esempio. L’alto livello di benefici sociali sono convinto resterà. Forse il nuovo governo ridurrà leggermente la percentuale di aiuti allo sviluppo, ma la Danimarca resterà nel gruppo di Paesi europei più generosi. Non sarà stravolto l’atteggiamento di fondo, così come non cambierà la priorità data al sostegno all’Africa per i prossimi anni. Sono un po’ preoccupato, ma non credo in un cambiamento radicale”.
Sarah Numico
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