Trentasette ministri degli Esteri di Europa, Paesi Arabi, Africani e i vertici delle principali Organizzazioni internazionali, dall’Onu alla Nato, dalla Lega Araba, all’Ue e all’Organizzazione dei Paesi islamici (Oic), si sono riuniti il 29 marzo a “Lancaster House” a Londra, sede di rappresentanza del “Foreign Office”. Un summit sulla Libia indetto per trovare una via d’uscita alla crisi e sul dopo Gheddafi. Per la Santa Sede ha partecipato mons.
Antonio Mennini, nuovo nunzio apostolico in Gran Bretagna, che abbiamo intervistato subito dopo la conferenza internazionale.
Eccellenza, una sua prima impressione su come sono andati i lavori alla Conferenza…
“La mia impressione è stata di una grande unità di intenti e un rafforzamento dei vincoli vicendevoli e anche delle finalità. Credo sia in questo senso significativo il fatto che anche la Svezia abbia aderito alla coalizione, tenendo conto di quanto quel Paese sia sempre molto attento agli aspetti umanitari. C’è poi in tutti la consapevolezza di quello che ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki moon e, cioè, che l’azione e l’intervento militare sono legittimati unicamente dalla salvaguardia e dalla incolumità dei civili per cui, qualora questa esigenza venisse a cessare, qualunque intervento potrebbe terminare anche immediatamente”.
Si può sperare in un veloce cessate-il-fuoco?
“Io ho registrato tra i partecipanti un certo scetticismo sul fatto che Gheddafi possa accettare questo cessate-il-fuoco. Una proposta che era arrivata dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, nella misura in cui il governo libico ottemperi a tutte le condizioni delle risoluzioni 1970 e 1973. E questa al momento sembra una soluzione abbastanza inverosimile. Al contempo, però, si è registrato un impegno di tutti per una vasta gamma di aiuti umanitari alla Libia che vanno non solo dall’invio di cibo e medicinale, ma prevede un intervento molto più vasto che comprende una riabilitazione del Paese anche dal punto di vista strutturale con la ricostruzione di case, scuole, ospedali che sono andati distrutti già prima con la rivolta”.
Cosa pensa della decisione di istituire un gruppo di contatto per guidare i futuri sforzi politici?
“Dal punto di vista politico, questo gruppo di contatto sarà piuttosto largo, in cui possano far parte non solo i Paesi immediatamente interessati e coinvolti, ma anche Unione europea, Onu, Lega araba e, soprattutto, Unione africana. Si è molto insistito sull’importanza di mediazione dell’Unione africana, in sintonia con quanto oggi dice mons. Martinelli, il quale giustamente ritiene che senza un’azione mediatrice e di contatto dell’Unione africana, sia difficile trovare per la Libia una via di soluzione”.
Lei cosa pensa della proposta del ministro degli Esteri italiano di esiliare il Colonnello in un Paese africano?
“Credo che possa essere un passo importante. Le azioni di repressione alla popolazione vengono da parte del regime ma sono anche il frutto di uno scatenarsi di rivalità tribali. La Conferenza si è affidata molto al ‘Libyan transition Council’ (Consiglio nazionale di transizione, ndr) ma credo che come è stato osservato anche da altri, sia importante che questo organismo comprenda un po’ tutte le rappresentanze etniche del Paese altrimenti rischiamo di ricominciare in un futuro molto vicino tutto da capo”.
Cosa si è invece detto riguardo agli aiuti umanitari?
“Intanto si è ribadita la garanzia dell’efficacia degli aiuti umanitari. Penso, per esempio, alla necessità di evitare situazioni incresciose già accadute in altre contingenze drammatiche. E quindi è importante che tutto sia sotto la diretta supervisione dell’Onu attraverso il suo inviato speciale in Libia. Sia gli americani, sia gli spagnoli, hanno già detto di avere delle teste di ponte umanitario sul posto. Alcuni sono già partiti, inviando ospedali di campo a Benghasi. La Spagna, per esempio, ha detto che vuole fare un punto di raccolta ad Alessandria di Egitto. Ed è stato fatto notare da tutti che gli aiuti umanitari non escludano nessuno, che non vadano cioè solo ai ribelli e alle tribù della Cirenaica, lasciando da parte le popolazioni della tripolitania che non stanno certamente soffrendo di meno”.
Quale ruolo può svolgere la Chiesa in questa situazione?
“Il campo di lavoro della Chiesa rimane molto grande sul piano morale, sulla ricostruzione delle coscienze. Immaginiamo ora quanti odi, quanti conflitti e rancori sono stati scatenati da questa guerra. Certo, sono tutti libici ma ricostruire un tessuto in cui all’odio si faccia posto il perdono non è facile e questo è un compito in cui la Chiesa potrà fare molto”.