Tengo tra le mani “Storia della comunità di Aci Platani“, un libro veramente prezioso di Giovanni Centamore, padre di famiglia, insegnante di Religione Cattolica nelle scuole. Il libro di un cristiano che vive la vita della sua comunità da laico impegnato e che ha sentito l’urgenza di raccontare agli altri, specie a quelli più giovani, la Comunità di Aci Platani: un itinerario, molto interessante e concatenato, di ricerca tra fede, arte e storia.
La storia della più grande frazione di Acireale, quella di Aci Platani, è vista come si evince dal titolo stesso del volume, come comunità che con questa speciale connotazione ha tratto e continua a farlo, anche adesso, la sua forza e la sua coesione.
Più chiaramente, è stata sempre la vita attorno alla chiesa che con il dispiegarsi dei suoi insegnamenti e delle molteplici attività, da parte dei suoi fedeli, ha permesso anche a tutti i Platanesi di crescere con radici secolari e con ideali che hanno ingigantito la vita di tutti, senza averla mai imprigionata!
Ad Aci Platani si è sempre respirata un’aria molto buona. La sua anima popolare ha reso un doppio servizio alla pratica e al vissuto della vita cristiana. Il bigottismo è stato sempre bandito e i parroci che si sono succeduti nel tempo hanno dato sempre un’impronta di vita cristiana – ecclesiale di alto livello.
Figure di parroci come Giuseppe Re e padre Giuseppe Cardillo, sono stati, letteralmente, nel loro tempo dei giganti e hanno lasciato una eredità indelebile. Nella diversità e nella complementarietà delle loro visioni hanno fatto di Aci Platani una comunità cristiana aperta alle esigenze di tutti. Senza chiudersi in una autoreferenzialità stucchevole e senza senso, fine a se stessa. Ancora.
Una comunità fiera che guarda avanti
La Comunità di Aci Platani nel doversi, per forza di cose, rapportarsi con il centro, rappresentato ultimamente da Acireale come sede comunale-amministrativa, ha molto sofferto e tantissime volte si è sentita abbandonata da tutte le amministrazioni succedutesi nel tempo. Da questa situazione conflittuale ha sempre trovato nuova linfa per ripartire ed essere, su tutto il territorio acese, una comunità che sa di mettere in campo esperienze non più di periferia.
Ma questa ricerca, nello stesso tempo, è un grido di allarme, secondo gli occhi attenti e lucidi del suo autore: «Aci Platani attraversa un momento di particolare difficoltà, forse tra i peggiori della sua secolare storia. Viviamo un tempo in cui sembra soffiare il vento della disgregazione, del disimpegno, dell’incertezza e della paura». L’evento sismico del 26 dicembre 2018 e la successiva demolizione delle abitazioni dichiarate inagibili ha toccato il cuore di tutti. Lo ha disorientato, forse anche schiantato.
Servendomi di questa preziosa e puntuale ricerca del Centamore, è mio compito fare anche una riflessione sul futuro delle nostre comunità cristiane. E, di conseguenza, sull’avvenire stesso in Aci Platani, e come altrove, della vita cristiana stessa, del Cristianesimo in generale. Condivido in pieno quello che l’autore del libro dice quando auspica di «non perdere la speranza», facendo memoria del proprio passato, delle radici.
L’appartenenza a cui l’autore fa riferimento è un cammino serio ed esigente di popolo che sa di aver ricevuto tanto. E sente il dovere di dare agli altri una testimonianza altrettanto autorevole della stessa speranza cristiana, secondo l’espressione che troviamo nella Prima Lettera di Pietro, l’apostolo, posto a capo della Chiesa da Gesù.
Percorrere la stretta strada del vangelo
«Quando circola troppa moneta falsa – diceva il grande Platone – anche quella buona è sospetta». E’ il caso, oggigiorno, di prendere sul serio la provocazione del genio del pensiero greco e di farci tutti un serio esame di coscienza. E’ necessario prendere il coraggio con tutte e due le mani e iniziare da noi stessi a percorrere la strada stretta del vangelo. Della Sequela di Cristo e della edificazione del suo Regno nel nostro mondo. Nelle nostre Nazareth che sono i nostri paesi e città, trafficando con intelligenza e scaltrezza i talenti che Dio stesso ha voluto affidarci.
Anche se tutto deve essere realizzato dentro la Comunità e per amore di essa, nessuno si aspetti il segnale d’inizio dopo aver partecipato, magari, ad una riunione importantissima di essa! O meglio, se non è Dio stesso a chiamare e ad inviare i suoi servi, attraverso quel misterioso rapporto che si stabilisce tra Dio e l’uomo, tra Dio e l’anima, il cambiamento che desideriamo con tutto il cuore, ancora non può avere il suo inizio.
E’ stato il divino Maestro che, un giorno, disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate, allora, il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (Lc 24,47). Il Dio che il cristianesimo annuncia è il Dio delle persone che dà ad esse la sua potenza, per governare se stessi e il mondo. E’ nel dono che Dio fa di sè, nella fede e nella fatica, che l’uomo riceve la forza per amare e per agire con la potenza di Dio. La Chiesa ha messo sempre in campo uomini e donne capaci di vivere i doni nella loro vita. Subendo persecuzioni, umiliazioni e sconfitte, ma vincendole con la potenza di Dio.
Sapere leggere i segni dei tempi
Tutti noi che abbiamo vissuto gli anni del Concilio, abbiamo anche portato in grembo una esigenza forte e irrinunciabile, tenendo in una mano il Vangelo e nell’altra il giornale, di Barthiana memoria. Quella di imparare a leggere i segni dei tempi. Lo dico solamente per i più distratti: non si trattava, in verità, di leggere o di interpretare i tempi. Cristianamente parlando, è ben altra cosa saper leggere o interpretare “i segni dei tempi”!
Quest’arte è un esercizio solamente di fede, che non rifiuta, anzi esige, tutti i contributi che possono venire stando accanto agli altri. Vivendo nella compagnia delle donne e degli uomini del nostro tempo. Ben vengano aiuti, stimoli, per così dire dall’esterno. Dalla letteratura, dalle università, dall’arte, dalla musica; dai luoghi o momenti più imprevisti come un incontro, un volto, una folgorazione particolare! Un mio vecchio amico forestale, un giorno, mi disse in dialetto siciliano: «A volte, Diu non senti gli angeli cantanti, ma i scecchi ragghianti!». Quanta sapienza in una sola frase!
Leggere i segni dei tempi è come correre su e giù dalla nostra mente alle cose, innalzando i nostri cuori verso Dio, perché li illumini e li riscaldi, per saper leggere il più possibile la realtà, tutta la realtà. Nel quadro dei problemi veri, spesso oggettivamente difficili che esigono molto studio, attenzione, paziente attesa.
Tornare a costruire la comunità
L’attento autore della ricerca sulla Comunità di Aci Platani, chiede a tutti di tornare a costruire la comunità, di innamorarsi di essa e di trovare – dico io – quel centro di gravità permanente che è Gesù, prendendo daccapo in mano il libro dei Vangeli, dei Salmi e dei Profeti: un pane da mangiare continuamente insieme e da spezzare con tutti gli altri.
Come sono abbastanza chiari i segnali della disgregazione e del disimpegno, altrettanto fortissimi sono gli avvertimenti che ci dicono di tornare al più presto possibile ad essere discepoli, a tornare alle barche, che si trovano sul mare di Tiberiade! Nella bonaccia e nella tempesta, bisogna essere certi che Gesù si trovi nella barca. Oggi è la volta, forse, di gridare forte. Sempre più forte. Non è Lui il sordo, il dormiente nella barca. Mancano i rematori e coloro che sappiano gridare senza stancarsi.
Torniamo a pregare insieme nelle nostra chiese. « Dove due o tre saranno nel mio nome, là io sarò in mezzo a loro! ». Nulla di nuovo sotto il sole! Ci aspetta la chiesetta di San Damiano, come lo fu per San Francesco! Ci aspetta la chiesa di Aci Platani, dalla navata piccola della Madonna, per riprendere la preghiera della sera e il servizio del Vangelo. E’ tempo di fare della chiesa del Santuario del Sacro Cuore una attrattiva, consistente semplicemente nel radunarsi, nel sedersi per terra, pregando e aspettando la moltiplicazione dei pani, come è scritto nei Vangeli. Si inizia sempre da pochi pani e da pochi pesciolini.
Non c’è giorno che qualcuno non scriva su un fatto molto emblematico, rappresentato dalle chiese vuote. E non meno grave è la constatazione che molte chiese del territorio restino chiuse. Alcune sono chiuse, per esempio, da diversi decenni e nessuno ritiene la cosa scandalosa! Sia ben chiaro che il Cristianesimo, fra tutte le religioni, è quella che potrebbe fare a meno dei luoghi, delle chiese edificate dagli uomini.
Se in futuro, e forse non molto lontano, la Chiesa cattolica dovrà farsi i conti seriamente con il suo ricchissimo patrimonio, in questo stesso periodo è tempo da parte dei cristiani laici di riaprire le chiese e di farle tornare a vivere. Secondo quella lettura dei segni dei tempi che dovrà vedere impegnati profeticamente i credenti di oggi nel Signore Gesù!
Eliminare il gelo delle chiese puntando sul vangelo
Ad Aci Platani il 26 dicembre 2018, insieme alle case, la chiesa Madre e non solo, furono resi inagibili dal terremoto! La chiesa trema? A volte succede! La Cattedrale di Notre Dame, tra il 14 e il 15 aprile del 2019, brucia? A volte succede! Ma il vero problema che attanaglia la Chiesa contemporanea non è né il fuoco, né il terremoto, ma il freddo che gela le nostre chiese. La freddezza, unita tante volte alla sciatteria, umilia la pratica domenicale, specie dei giovani e desertifica i luoghi di culto, serra le porte. E’ il disinteresse dei fedeli che non le fa abitare, perché manca la passione, la preghiera, il gusto delle cose belle, la ricerca del silenzio e della spiritualità.
E’ il passaggio preoccupante, sul piano culturale, dal noi al mondo dei tanti io che non fanno comunità. L’io può amare la spiritualità, ma poco una strada in cui ci si salva insieme. E allora torna l’imperativo categorico della comunione, da sperimentare nella comunità!
La cultura del declino è imperante, sembra vincere su tutto, fuori e dentro la Chiesa. Non si tratta di gestire il presente con rassicurante accidia, ma puntando nuovamente sull’essenziale, sul Vangelo stesso da vivere. Sul credere che il Vangelo sia il futuro e che ancora non abbiamo sperimentato e vissuto le sue potenzialità appieno.
“La cultura dell’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo, in una terra desolata, che non conoscevamo e ci fa ascoltare un timbro inedito della disperazione e della fatica dell’esistere e del desiderare. Non possiamo abbandonare, non possiamo abbandonarci. Costruiamo una comunità dove è possibile ritrovare il gusto del vivere insieme, la pace nell’incontrarsi, la condivisione dei dolori e delle imperfezioni, la condivisione delle gioie e del bene che è diffusivo. Gesù lo ha fatto». (Angelo Liotta)
Don Orazio Barbarino
Rettore del Santuario “Sacratissimo Cuore di Gesù”- Acireale