“La durata della vita non dipende da me. Vivere pienamente non dipende che da me”. In questa massima di Seneca, un vero scrigno di saggezza, è racchiuso tutto lo spirito dell’avventura letteraria di Maria Fiorito dal titolo “Da una crepa entra la luce. Autobiografia di una conversione”.
Una meditazione del proprio vissuto nello scenario di questo mondo, con le sue gioie e i suoi dolori, nella consapevolezza di disporre di un tempo prezioso, dono e caparra della vita eterna in cui vedremo Dio come egli è.
Questa la prospettiva discussa dall’autrice con la prof.ssa Marinella Cocuzza Ferlito, alla presentazione del libro alla Libreria San Paolo di Catania. Moderatore il prof. Marco Pappalardo, direttore dell’ufficio della pastorale scolastica dell’Arcidiocesi di Catania. Occasione propizia per soffermarci con l’autrice per approfondire alcune delle tematiche del testo.
Prof. ssa Fiorito, come nasce l’ispirazione di trascrivere le sue riflessioni sul proprio vissuto e darle alle stampe? Come si coniuga con la sua vocazione educativa di insegnante di religione?
Non è stato facile raccontarmi. Solo dopo 15 anni dal suggerimento di un sacerdote, di trascrivere la mia esperienza personale, ho iniziato mettere nero su bianco sul mio vissuto. Solo avendo dato un senso al dolore e rimarginato le mie ferite, ho potuto testimoniare che se sono riuscita a superare tanto dolore, allora può farlo chiunque. La sofferenza va integrata nella storia della propria vita. Non è certo un processo semplice; ma non è impossibile.
Per integrare il dolore bisogna accettarlo e per accettarlo si deve lavorare molto. Se si è in grado di accettare il flusso emotivo che scaturisce dalla sofferenza, si acquisisce una padronanza di sé, che è fondamentale nella vita. E qualunque tristezza possa abitarci, sentiremo di dover sperare; perché con Dio la croce sfocia in resurrezione ed è ciò che porto sempre con me, nel mio lavoro di insegnante di religione e in tutto ciò che vivo.
La grazia della conversione si rivela sovente con modalità impreviste. Come si è offerta a lei?
Attraverso gli avvenimenti dolorosi della mia esistenza (la morte dei miei fratelli e del mio papà), Dio con la Sua grazia che previene, ha disposto tutto affinché io mi aprissi alla fede. Ha liberato la mia libertà affinché io potessi dare il mio consenso. Mi ha offerto continuamente la possibilità di rispondere al Suo amore di Padre, il Consolatore. Mi ha aiutata a conoscermi meglio, a chiarificare le mie intenzioni, a emergere dalle mie indeterminazioni. Un lungo percorso, non solo accademico.
Abbandonai gli studi di Giurisprudenza a soli pochi esami dalla laurea perché il diritto non dava le risposte alle domande di senso, di cui avevo bisogno (chi siamo, da dove veniamo, dove andremo) e mi iscrissi a Teologia che fu la “medicina” della mia anima.
So esserle molto caro il carme di fiducia e affidamento del salmista Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano Sal.139 (140). Possiamo intenderlo come il filo conduttore, non solo delle pagine del suo libro, ma delle trame della sua vita? Anche per vivere al meglio la perorazione conclusiva vedi se percorro una via di menzogna e mostrami la via della salvezza?
Come il salmista esprimo sempre la mia lode e gratitudine a Dio per il suo intervento, che mi ha dato salvezza e nuovo vigore. Il suo vedere mi tocca nell’intimo e il suo toccare vede nel profondo. Il senso della presenza di Dio che mi circonda e mi pervade, anima la mia fede ogni giorno. Cosa chiedere ancora a un testo di più di 2000 anni? Quando parlava già anche di me e per me, del mio oggi e qui… del tuo, di noi tutti! Mi accorgo che commentare questo salmo è coglierne solo una minima parte, ridurlo; per cui mi fermo, torno a rileggerlo, a pregarlo, a contemplarlo, a perdermi dentro quelle parole e a farle mie, per sentire il bene che Dio mi vuole e per tentare di dirgli il bene che io gli voglio, o quello che vorrei volergli.
Questa esperienza letteraria si inquadra nel Progetto Heka, da lei ideato col placet del vescovo della diocesi di Singida, mons. Edwuard Mapunda; per cui il ricavato della vendita del libro sarà devoluto in favore dei bambini della scuola materna Maria Consolata del villaggio di Heka, in Tanzania, gestita dalle suore benedettine di Sant’Agnese di Chipote. Da dove nasce tale sensibilità per quei piccoli?
Nell’estate successiva alla morte del mio secondo fratello, decisi di andare in Africa per incontrare il bambino che avevo adottato a distanza e “toccare” con mano la sofferenza del Terzo Mondo. I bimbi sono come li vediamo in tv, scalzi, magrissimi e col pancino rigonfio; ma tanto sorridenti. Qui lasciai i miei vestiti e tutto ciò che avevo portato dal nostro mondo civilizzato, ricco e opulento, facendo ritorno a casa con il solo vestito che indossavo e un paio di scarpe… ma fui immensamente ripagata dagli splendidi sorrisi di quei bambini che ricordo tuttora e che furono in quel particolare momento della mia vita, la mia personale cura e guarigione. Ecco perché mi sento sempre in debito verso di essi e mi sembra di non fare mai abbastanza per loro.
Nel congedarci non ci esimiamo dal chiederle se a questa fatica letteraria seguiranno altre.
Sì, anche se non posso ancora dire il titolo. Posso già anticipare che si tratta di un altro saggio, una sorta di longa manus di “TeoDieta. Cibo e spiritualità: la strana coppia”, il mio secondo libro.
Frattanto, sin d’ora un plauso per i fasci di luce che illumineranno la vita di tanti bimbi in Tanzania.
Giuseppe Longo