Discutere su personalità complesse, volere riflettere sul loro operato nella società ed anche ripercorrerne il cammino attraverso le loro idee è un’impresa difficile e delicata, perché si può correre il rischio di attenzionare un aspetto piuttosto che un altro di pari importanza. Consideriamo che una complessa figura può anche apparire contraddittoria nelle sue molteplici sfaccettature, mentre, in realtà, potrebbe seguire una linea coerente e costante nelle proprie azioni e nelle idee enunciate.
Ne è un esempio la figura di don Lorenzo Milani (Firenze 1923- 1967), di cui si è parlato, sabato scorso, nell’incontro culturale tenutosi, su iniziativa dell’associazione culturale “Vie Traverse”, nella sala “Pinella Musmeci” della “Villa Belvedere” di Acireale. Milani fu priore in quel di Sant’Andrea a Barbiana (Fi), trovò la fede e la conversione mentre affrescava una chiesa sconsacrata. A cinquant’anni dalla morte la sua figura rimane poco decifrata, ma molto incisiva nell’opinione pubblica.
Sebastiano Vecchio, docente del dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania, ha, ad un certo momento della sua vita, rivolto la sua attenzione a questo prete che, con la famosa “Lettera a una professoressa”, ma anche con tutti gli altri suoi scritti, ha fatto parlare non poco di sé, in relazione alla vita della scuola, alla concezione della fede, al significato della cultura, al valore della parola. Il prof. lo aveva “inserito” già nella propria tesi di laurea, scrivendo un’appendice sul “pensiero linguistico” di don Milani e lo coinvolse, in modo più significativo, nella sua vita, anni dopo, quando diede il suo nome al figlio Lorenzo: “(…) Nelle cose che quel nome mi evoca ci ho creduto e ci credo e auguro anche a te di crederci”, scrive nella lettera indirizzata al figlio, in cui gli spiega la scelta del suo nome. Perché “Lorenzo” è, infatti, il titolo dell’ultimo libro del prof. Vecchio, edito da Bonanno, che raccoglie gli scritti realizzati dal docente nell’arco temporale fra il 1987 ed il 2012.
Un’opera che racconta la personalità di don Milani, toccandone tutti quei diversi aspetti, che possono indurre, come detto, in errore di valutazione della stessa, proprio perché sono numerosi ed al tempo stesso degni di ugual nota. Trascurarne uno significherebbe adombrare questa personalità assai complessa e comprometterne la comprensione, se di vera e totale comprensione si può, comunque, parlare. Attraverso le frasi dello stesso prete, le parole dei suoi scritti, abbondantemente citati nel libro, ed i pensieri dell’autore, la personalità rivive e si presenta al lettore.
Durante l’incontro di sabato, moderato da Grace Sottile, presidente di “Vie Traverse”, il pensiero, l’agire, l’espressione, in alcuni casi anche rude del sacerdote di Barbiana sono stati ripercorsi dal prof. Vecchio, mediante la lettura di alcuni passi del suo scritto, la proiezione di un video e con gli spunti di dialogo forniti dal prof. Orazio Caruso. La validità dell’evento è stata sottolineata da Antonio Coniglio, assessore alla Cultura del Comune di Acireale, che ha ribadito il messaggio deducibile dall’opera di don Milani: “Credere fortemente alla propria capacità di cambiare le cose”.
Fra i punti prioritariamente affrontati nell’incontro, il concetto innovativo del sacerdote di “possedere la parola”, intesa come capacità di espressione orale, dal momento che “la lingua fa eguali”. Esso si legava all’idea generale di una cultura che poteva essere una difesa per gli “umili”, per i contadini nei confronti dei padroni, un risultato dell’istruzione che tutti avrebbero dovuto avere, in tempi, in cui, invece, risultava difficile. Ancora, la forza di compiere scelte libere e coerenti con il proprio pensiero, grazie alla guida fornita in ciò dalla scuola.
Il prof. Vecchio ha riportato le parole di don Milani, rivolte a tre ex allievi della scuola popolare, in relazione all’esito di una vertenza sindacale: “Pensare le cose prima di farle e non farle mai se non coerenti a quel che avete pensato” (lettera del 18/12/55). La stessa coerenza che risulta necessaria nelle scelte quotidiane, in ogni tempo ed in ogni circostanza. La stessa coerenza praticata da chi si sposa con il rito civile, come nel caso della sorella, purché fosse in armonia con il suo pensiero.
Aveva, poi, don Milani, l’idea singolare di una scuola in cui non vi era mai un momento vero e proprio di ricreazione, poiché era un contesto piacevole e mutevole continuamente, nei suoi argomenti e nelle sue materie. Il suo atteggiamento religioso è stato osservato attraverso i suoi comportamenti, tutt’altro che scontati: invitava la gente a non andare in parrocchia, perché credeva che i pochi interessati avrebbero potuto assuefarsi; come l’indifferenza per i dogmi, così motivata “(…) io non li rammento mai perché ci credo” (lettera del 10/11/59). Eloquente, inoltre, la visita dello scorso venti giugno del Santo Padre Francesco alla tomba di questo carismatico prete, come a voler sottolineare la vicinanza della Chiesa al suo pensiero ed “(…) all’avventura umana e sacerdotale” dello stesso, a voler usare le stesse parole del Papa.
Un agire, quello di don Milani, che ha sollevato innumerevoli commenti, riflessioni, critiche e condivisioni, del quale, tuttavia, ci appare utile riportare un’affermazione che possa far convergere in un punto di incontro i diversi giudizi: “(…) Il desiderio di esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l’amore”.
Rita Messina