Il viaggio della speranza, è il titolo del volume, che contiene gli atti, dell’VIII Congresso proposto dall’Associazione Nessuno tocchi Caino, pubblicato da Reality Book, nello scorso mese di giugno. Celebrato il 20 e il 21 dicembre 2019, nel teatro della Casa di reclusione di Opera di Milano con il titolo “Il diritto alla speranza: l’ergastolo ostativo alla luce delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’uomo e della Corte Costituzionale”.
Sono circa un centinaio le voci che si alternano nelle 440 pagine, voci di uomini e donne che raccontano la loro esperienza di vita dentro un reclusorio e/o accompagnano, mediante laboratori specifici, un percorso riabilitante verso la libertà, quella che permette di riacquistare la dignità di esistere e di vivere liberi dentro, perché resi capaci di riconoscere l’errore e di voler rimediare, mediante un modo nuovo di guardare alla vita e ai suoi valori.
Nei vari interventi si avverte, anzi, si tocca con mano, la “dignità” restituita al recluso, quella dignità insita nella persona, che si era perduta e trasfigurata a causa del delitto commesso e di una colpa da espiare. Nessuno tocchi Caino, associazione fondata da Marco Pannella e sostenuta da oltre duemila iscritti, ha acquisito il motto paolino “Spes contra spem” per indicare che ogni uomo ha diritto a sperare in una vita migliore e a nessuno può e deve essere negata questa speranza, ne va della dignità della persona umana singolarmente ma anche dello stato di diritto su cui si fonda la Democrazia e la Carta universale dei diritti umani e dei popoli.
Il volume documenta ampiamente, mediante le testimonianze e i vissuti, raccontati in prima persona da chi ha già sperimentato su di sé il valore della dignità individuale e soggettiva oltre a quella sociale e collettiva, come sia essenziale e indispensabile una libertà fondata sul perdono e sulla non violenza.
Per quanto abbastanza noto sia che il sistema punitivo non redime e non permette a chi ha sbagliato di riconoscere il suo errore, il nostro sistema penitenziario mantiene forme di restrizione e di limitazione della libertà personale che non aiutano il detenuto a riconoscere il reato come un danno sociale e a prendere coscienza del suo errore.
Ma anche la società non si rende conto che il reo che torna in libertà e continua a delinquere, lo fa perché non è aiutato ad inserirsi nella società, che non lo riconosce come sua parte, ma continua a scartarlo e a inveire contro di lui, a emarginarlo. Si comportano entrambi come due mondi separati e ostili, ignari del danno reciproco che si arrecano.
Il perdono richiede sia il riconoscimento da parte del reo del suo errore ma anche da parte della vittima la disponibilità a riconoscere in lui la capacità e il diritto a cambiare, a modificare i suoi comportamenti. Entrambi i soggetti vanno aiutati a fare un percorso di conoscenza e di acquisizione di elaborazione di vissuti che richiedono tempo e coraggio e da ambo le parti la volontà di incontro, la volontà di interscambio di emozioni e di vissuti attraverso i quali si avvicinino e si riconoscano umani e bisognosi di rispetto reciproco e di aiuto reciproco.
Il cammino verso un cambiamento non solo normativo che escluda la pena di morte in tutto il mondo, ma anche l’ergastolo, ovvero il fine pena mai, è ancora molto lungo, ma è altrettanto urgente il progetto di rinnovamento delle misure ostative della libertà verso un modello di giustizia che consenta di “ri-conoscere, ri-parare, ri-costruire, ri-stabilire, ri-conciliare, re-staurare, ri-cominciare, ri-comporre il tessuto sociale”, “senza cancellare nulla – anzi ri-cordando tutto” verso “una prospettiva nuova per la singola esistenza individuale e per l’intera comunità”, come auspicato nella Lectio Magistralis della Presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, in occasione dell’apertura dell’Anno Accademico dell’Università Roma Tre, lo scorso gennaio
Teresa Scaravilli