La storia biografica del tedesco Torsten Hartung è tratta dalla pubblicazione di “Inatteso – Testimonianze che pro- vocano i giovani”” di Arturo Cattaneo, edizione “La fontana di Siloe”.
Il protagonista, nato a Schwerin nel 1960, dopo un’infanzia difficilissima con sofferenze fisiche e morali, in preda a genitori violenti, si trasforma in un bullo, per avere le attenzioni dei suoi coetanei. A 18 anni entra per la prima volta in prigione, in seguito ad un furto; dopo poco tempo, è condannato alla pena di un anno e dieci mesi, la terza volta a tre anni, in seguito a risse.
La vita di Torsten Hartung cambia allorchè s’innamora di una giovane, che nei suoi riguardi si dimostra di larghe vedute: questo periodo felice dura sette anni e mezzo, finché nel 1988 egli scappa dalla Germania dell’Est e si rifugia a Berlino Ovest.
Confessa con spregiudicatezza che la vita per lui non aveva più senso: “Mi venne allora in mente quel patto che Faust fece con Mefistofele. Anche se allora io non credevo né in Dio né nel demonio, mi lasciai ispirare da quel patto e dissi: “Puoi prenderti la mia anima se vuoi, ma in cambio ti chiedo soldi e felicità”.
Si presenta l’occasione di una banda malavitosa, i cui capi aveva conosciuti in carcere. Coglie così la palla al balzo nella Germania dell’Ovest, rubando auto di lusso da rivendere in quella dell’Est e nei Paesi arabi. Ben presto riesce a diventare il boss della banda, conducendo una vita dispendiosa, incentrata sulla droga: in un anno e mezzo assieme alla banda, il guadagno è dato dalla vendita di 120 auto di lusso. Temendo d’essere sorpassato da un complice, decide di toglierlo di mezzo: il 20 giugno 1992 lo uccide, ma s’impossessa di lui l’insoddisfazione, decidendo di rifugiarsi in Spagna, dove è vittima di un incidente e a stento riesce a rimanere illeso.
Nell’isola di Maiorca, durante la visita ad un monastero, sente il bisogno di chiedere una grazia particolare. In un bigliettino scrive: “Vorrei che la mia vita fosse felice”.
Riparte dalla Spagna per Stoccolma: qui tradito da due talpe della banda, cade nelle mani dell’Interpol, viene ricondotto a Berlino, processato e condannato a 15 anni, di cui 5 anni in cella d’isolamento.
Nella Pasqua 1998, il cappellano del carcere organizza la visione di un film su Gesù Cristo: comincia qui la svolta della sua vita. Malgrado fosse ateo, Hartung sente il bisogno, tornato in cella, di pregare Dio, per poter ricevere la grazia di cambiare vita. Nel suo diario, approfondisce questo pensiero disperato che lo tormenta, riconoscendosi “uomo cattivo” : piange, non si sente amato da nessuno, anche la sua infanzia era stata molto infelice.
In questo stato d’animo, in un momento d’intensa preghiera, avverte in sé la presenza di Cristo che lo rassicura. Nel suo diario, Torsten Hartung annota : “E’ stata la mia Damasco”. E’convinto dell’esistenza di Dio, che gli parla con un tono di voce suadente, che lo ama. E’ il momento sublime della piena conversione, dell’incontro con la bellezza del Creato, della gioia profonda, segno di una vita nuova.
Decide di leggere la Bibbia, con la frequenza in prigione di due gruppi di studio della Bibbia, uno protestante, uno cattolico. Il 20 giugno 2000, nel carcere di Berlino, viene battezzato e sceglie per sé il nome di Pietro; inoltre chiede alla Madonna d’essere per lui “quella madre che non ho mai avuto”. Nel 2006, riacquistata la libertà, desidera dedicarsi ai giovani che escono dal carcere. Partecipa ad un pellegrinaggio mariano, dove conosce Claudia, una donna trentacinquenne, di grande fede, che diverrà la sua sposa nel 2007. Fa amicizia con un sacerdote coreano, che lo invita ad una tournée di tre mesi, come testimone in diverse parrocchie del suo paese: riceve un’offerta che gli permetterà, ritornando in Germania di trasformare un tugurio in una casa per giovani usciti dal carcere: l’8 dicembre 2012, la Casa della misericordia ad Altenburg, nel territorio di Lipsia, verrà inaugurata con una Messa solenne.
Torsten Hartung, figura molto emblematica, sostiene: ”Dio mi dà ogni giorno la possibilità di rimettermi in gioco.”
Anna Bella