“La preghiera del cuore” di Papa Francesco. “A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra ‘progressisti’ e ‘conservatori’, ma questa non è la differenza: la vera differenza centrale è tra ‘innamorati’ e ‘abituati’”. L’affermazione, lucida e rocciosa, è di Papa Francesco, nel Discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi (21 dic. 2023).
Forse il passaggio su citato si potrebbe riprendere e prolungare: la vera alternativa nella Chiesa oggi è tra cristiani ‘stupiti’ o ‘assopiti’. Tra cristiani “estatici” o “automatici”: andati in automatico. Pertanto arriviamo a cogliere l’epicentro pulsante di questo libro “francescano”: l’autentica preghiera cristiana non è il prodotto dell’abitudine. È il frutto di un innamoramento.
Ma prima di immergerci nel testo, va detto che quella che abbiamo tra le mani è l’accurata, agile antologia di una lunga serie di catechesi tenute dal Papa nelle udienze generali del mercoledì, dal gennaio 2020 al giugno 2021. Nella presente raccolta le catechesi non vengono allineate secondo un ordine cronologico, ma sono state riordinate e raggruppate in cinque “passi” successivi, che ritmano un trascinante itinerario di formazione alla preghiera.
Il primo passo del percorso prende di petto due domande preliminari e ineludibili: cos’è la preghiera e perché pregare? La risposta di Francesco risulta limpida e coinvolgente: “La preghiera è il respiro della fede, è la sua espressione più propria. Come un grido che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio”.
Qui il messaggio si fa subito appassionante, declinato com’è, attraverso la figura evangelica di Bartimeo, il mendicante dagli occhi spenti, ansiosi di luce (vedi Mc 10,46-52). Il poveretto si era appostato lungo la Gerico-Gerusalemme. E, sentendo passare Gesù, assediato da tanta gente, si è messo a gridare a squarciagola: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.
Bartimeo ci rappresenta. Tutti: tutti gli uomini di ogni credo, anche quelli che non appartengono ad alcuna religione. Tutti noi veniamo alla luce, avidi di cielo, con il cuore ferito da un’acuta nostalgia: potere finalmente incontrare quel ‘Tu’ che riesca a saziare l’irrequieta brama di Infinito, che abita il nostro minuscolo, miserabile io: “un crepaccio assetato di Assoluto” (Kierkegaard). Ma l’immeritata fortuna del cristiano ci fa avvertire il brivido di un incontenibile stupore: la nostra preghiera nasce da una rivelazione. È vero: “Dio, nessuno lo ha visto mai”, ma è altrettanto vero che “il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18).
Il secondo passo – “La preghiera nella Bibbia” – ci fa incrociare testimoni autentici e autorevoli maestri di preghiera. Come Abramo, Mosè, Davide, Elia; come Maria. Come i primi cristiani. Ma la cattedra più alta e del tutto insuperabile di questa scuola biblica della preghiera spetta senz’altro a rabbi Jeshù. Vedi i corposi paragrafi dedicati a “Pregare come Gesù, con Gesù, in Gesù” e “Per Gesù tutto nasce dalla preghiera”.
Il baricentro di queste catechesi è rappresentato dal commento all’evento del battesimo al Giordano: “Mai preghiamo da soli, sempre preghiamo con Gesù. Che non rimane sulla sponda opposta del fiume – “Io sono giusto, voi peccatori” – per marcare la sua diversità e distanza dal popolo disobbediente, ma immerge i suoi piedi nelle stesse acque di purificazione. Si fa come un peccatore. E questa è la grandezza di Dio che inviò il suo Figlio, il quale annientò se stesso e apparve come un peccatore”.
Il terzo passo è dedicato ancora più esplicitamente allo scambio bidirezionale tra vita e preghiera, come promette già il titolo: “Momenti di vita diversi – Atti di preghiera diversi” [101-124]. Vi si parla di preghiera di ringraziamento e di lode. E di preghiera nella liturgia. Di quest’ultima catechesi merita di essere rimarcata una esternazione fiammante, che a Roma si definirebbe in gergo, “papale – papale!”: “Un cristianesimo senza liturgia, io oserei dire che forse è un cristianesimo senza Cristo”.
Il quarto passo contempla i diversi modi di pregare e ci consegna alcuni preziosi consigli per una autentica “preghiera del cuore”. Vi si parla della preghiera vocale, della meditazione e della preghiera contemplativa. Traspare da queste pagine un Papa molto preoccupato della tentazione numero 1, che mette a serio rischio la nostra fedeltà al cammino della preghiera, ed è l’insidiosa, sgradevole tentazione dello scoraggiamento. La controffensiva a questa tentazione è possibile se si confermerà la decisione di continuare a combattere, nella serena certezza di essere ascoltati da Dio, soprattutto quando veniamo trascinati a pensare il contrario. Mai Dio ci è così vicino, come quando siamo nella prova…
L’ultimo passo – “La forza della preghiera e i suoi frutti” ci offre una sostanziosa sintesi di tutto il tracciato fin qui percorso. Il primo frutto della preghiera è che Gesù ci aiuta a pregare. “Noi non sapevamo come si potesse pregare: quali parole, quali sentimenti e quali linguaggi fossero appropriati per Dio. (…) Però Gesù è la porta che ci apre a questo dialogo”. Un altro dono è l’imparare a pregare con/nello Spirito Santo [156ss.].
Il terzo è l’avere sperimentato che Gesù stesso prega per noi, specialmente quando ci tocca affrontare le pareti di sesto grado della vita [160-167). Il quarto frutto è l’esperienza dolce e consolante del posto privilegiato occupato da Maria nella preghiera.
L’ultimo frutto è il grande bene che ci viene dalla preghiera dei santi e dallo sconfinato “mare di preghiera della Chiesa”. Non è facile condensare in poche righe l’esuberante bellezza di questa cinquantina di brani di catechesi. Ma forse ci possiamo provare con tre parole, come amore, benedizione, contemplazione.
Amore. Nel lessico “francescano” della preghiera, Amore è voce irrinunciabile.
Ma di quale amore si tratta? Forse dell’amore nostro verso il prossimo? No, in prima battuta non si tratta neppure dell’amore nostro verso Dio. Non possiamo dimenticare la liberante rivelazione dell’apostolo Giovanni: “Dio è amore”; è lui che “ci ha amati per primo” (1Gv 4,8.11).
Papa Francesco lo afferma con disarmante semplicità: “Tutto (nella preghiera) nasce da lì: da un cuore che si sente guardato con amore”. Credere di essere amati: è dalla radice della fede che germoglia la preghiera. Sentirci amati. Sempre amati: da sempre e per sempre. Anche nei giorni del male subito o causato, anche nelle ore del buio e della nebbia, dell’esilio o del deserto, della bufera o della calura asfissiante. Anche nelle giornate ‘storte’ o confuse.
Il verbo pregare non fa solo rima baciata con lodare, ma anche con il verbo lottare. Paolo raccomandava con tono accalorato ai cristiani di Roma: “Lottate con me nelle preghiere” (Rm 15,30). E papa Francesco ritorna sulla figura di Giacobbe che lotta con Dio: uno specchio per il nostro pellegrinaggio. Ma il Papa pensa anche a Giobbe e si sbilancia fino ad assicurare: “Tante volte anche arrabbiarsi con Dio è un modo di pregare”.
Benedizione. Pregare fa rima ideale anche con il verbo benedire. Un verbo che a Dio piace molto.
In effetti egli crea bene-dicendo. Ci salva mandandoci Gesù, la sua grande benedizione. A Dio che benedice, noi rispondiamo bene-dicendo: è la preghiera di lode, di adorazione, di ringraziamento. Non è il male che alligna nel mondo, non è neppure il male che si ingarbuglia nel metro quadro della nostra vita che può spegnere la benedizione. Qualunque cosa accada, nulla ci potrà separare dall’amore di Cristo.
Contemplazione. Osserva il Vescovo di Roma: un tempo i maestri di spiritualità mettevano in alternativa contemplazione e azione. No. “La preghiera può iniziare nella penombra di una navata, ma poi termina la sua corsa per le strade della città”. Non possiamo dividerci tra contemplativi e attivi. Possiamo e dobbiamo puntare a divenire ‘contemplattivi’ (Tonino Bello).
Concludiamo con il Papa. “Questo è un compito essenziale della Chiesa: pregare ed educare a pregare. Trasmettere di generazione in generazione la lampada della fede con l’olio della preghiera”.
Francesco, la parte sua l’ha fatta. E bene. Molto bene. E noi gliene siamo grati. Molto grati. L’ha fatta condividendoci un messaggio genuino, energetico, servito con un linguaggio felice, fluido, essenziale, e con uno stile pulito, fresco, invitante. Ma noi ora siamo decisi e pronti a fare la nostra?
Francesco Lambiasi
vescovo emerito di Rimini