Si è svolta nella sala CCP del Palazzo della Cultura di Catania, la presentazione di “Oltre il tempo”, prima silloge poetica di Orazio Messina. Ha ancora senso fare poesia in una società disillusa come la nostra? E che valore ha oggi essere poeti?
Orazio Messina ha proprio il viso e l’atteggiamento da poeta. E’ timido, quando legge le sue poesie tradisce l’ansia di chi non è abituato a stare sotto i riflettori: apre e chiude le mani, e la voce diventa ora troppo squillante ora troppo piana. E’ sensibile, di quella sensibilità che riesce a prender voce solo con la poesia.
Il titolo della silloge “Oltre il tempo” potrebbe suggerire una sorte di tensione o pretensione metafisica, ma, per nostra fortuna, non vi è nulla di tutto ciò. “Oltre il tempo” sta a significare la capacità che ha, e che deve avere la poesia di essere universale, e quindi sempre attuale.
“Oltre il tempo” di Messina, tra la poesia lirica e quella narrativa
La poetica di Orazio Messina si colloca a metà strada fra la poesia lirica e la poesia narrativa. Lirica perché mette al centro, di alcune sue poesie, l’io lirico. Un io lirico che non è sterile prosopopea letteraria, bensì prova attraverso la riflessione di sé a comunicare con il mondo. O, per rimanere con i piedi per terra, per “aprirsi” alla società.
Narrativa in quanto, in alcune poesie, un esempio fra tante “Unn’è Donna Annitta”, poesia scritta in vernacolo, che deve molto alla novella “La lupa” di Giovanni Verga, dove l’io lirico viene accantonato a favore di una narrazione di una qualche vicenda in terza persona.
La poesia “Unn’ è Donna Annitta”, una delle sei poesie scritte in “lingua madre”, ha una musicalità e un ritmo e a tratti, ma solo a tratti, un isostrofismo davvero ragguardevoli.
E’ da notare il fatto che “Unn’ è Donna Annitta” rappresenta uno dei pochi esempi, riuscito o meno, di poesia narrativa in vernacolo siciliano. L’ardua sentenza spetterà al lettore.
La moderatrice Rita Vinciguerra, presentando la silloge poetica, ha evidenziato: “La raccolta poetica “Oltre il tempo” costituisce l’ esordio letterario di Orazio Messina, e raccoglie quarantotto liriche scritte nell’ arco di vent’ anni”.
La dott.ssa Luisa Trovato, presidente dell’ETS “Associazione Polena”, ha illustrato che “la poetica ha il dovere di far conoscere all’uomo ciò che intimamente egli è. La poetica è la religione del pensiero, qualcosa per sua intrinseca natura di immediato, ma che, grazie alla poesia, riesce a prendere forma reale”.
La poesia di Orazio Messina naturale e autentica
Queste parole, però, non devono indurre a pensare che nella poetica e nella poesia di Orazio Messina ci sia della filosofia. Semmai dovesse esservi della filosofia, questa la si trova nella sua “forma” originaria di pensiero.
“Oltre il tempo” di Orazio Messina, ha la virtù o il difetto, a seconda da come lo si veda, di avere, citando Roland Barthres, un “afflato lirico immediato”. Ossia Orazio Messina scrive sempre ciò che sente; la sua poesia è brada, naturale, autentica. Non ci sono arcaismi, parole auliche, metafore troppo intellettuali, il linguaggio è sobrio ed educato, senza per questo risultare troppo sciatto.
La poesia che apre la silloge è “L’ aiuola.” Ed è, non sappiamo dire la più bella, ma sicuramente, la più significativa di tutte le quarantotto liriche. “L’aiuola” descrive il disagio della malattia psichica e la sua incomunicabilità. Questa poesia “parla” del disagio psichico in modo del tutto originale. Il verso “Dormo tutto il giorno ma non ho sogni”, verso che, a un primo sguardo può risultare banale, descrive invece il disagio psichico non più come difficoltà a rapportarsi col mondo esterno, ma difficoltà a rapportarsi con se stessi.
La poesia “L’aiuola” riesce, dal punto di vista formale, nell’ impresa, non troppo facile, di unire poesia lirica, poesia narrativa e poesia civile.
Infine concludiamo dicendo che la parola poesia deriva dal greco poiein, che significa creare e non fare, come ancora molti sostengono per avvalorare una presunta origine pratica della poesia, dimostrando l’errata tesi che la poesia debba avvicinarsi ai lettori e non viceversa. Creare significa immaginare, e la poesia è immaginazione, fantasia, quindi illusione. Ma come diceva il “Cigno di Recanati“, già nell’Ottocento, “Il progresso del mondo comporta la morte delle illusioni”. Quindi, figuriamoci adesso. Però, se in una società disillusa e disamorata come la nostra, le illusioni non attecchiscono più, forse è la poesia stessa a dover cambiare orizzonte d’ intesa. La poesia dovrebbe non più dare spiegazioni, ma “accendere” sentimenti che portino a farci delle domande. E il poeta, oggi, ha il compito di capire quali siano le domande giuste da porsi.
Sono intervenuti, nel corso della presentazione, Rita Vinciguerra in veste di moderatrice, Giuseppe Vecchio,direttore de “La Voce dell’ Ionio”, Nino Arena, editor e giornalista, Angela Scalia, presidente associazione “I vulcanici”, Nella Inserra, presidente della FILDIS sezione di Catania e Luisa Trovato, presidente dell’ ETS “Associazione Polena”. Laura Parole ha recitato, nel mentre della presentazione, due poesie della raccolta: “Usciamo” e “Fiumi”.
Giosuè Consoli