Libri / “Sicilia terra di sapiri e di sapuri”, magnifica il dialetto siciliano

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Le consonanti “doppie” che si riscontrano sia all’inizio che all’interno di determinate parole sono state “volutamente” inserite in modo da rendere la lettura e quindi la pronuncia come è nel nostro “Ddialettu sicilianu”.
Salvatore Marano è chiaro e schietto nell’introduzione che apre la sua “Sicilia terra di sapiri e di sapuri”, raccolta di poesie in lingua dialettale, edito da ‘La Voce dell’Jonio’. Libro presentato lo scorso 24 marzo nella sede dell’associazione Mutuo Soccorso Agostino Pennisi di Acireale.

La giornalista Rita Vinciguerra ha moderato l’incontro culturale introdotto da Giuseppe Vecchio, direttore de ‘La Voce dell’Jonio’. Relatore il prof. Salvatore Musumeci, cultore della lingua siciliana.
A Carmen D’Anna e Terenzio Falcotti, del laboratorio teatrale UpGC, il compito di voci narranti. Gesuele Sciacca e Daniela Greco hanno piacevolmente intrattenuto il pubblico presente con brani del compianto e amato Franco Battiato.

Vinciguerra, Marano, Musumeci e Vecchio
Da sx: Rita Vinciguerra, l’autore Salvatore Marano, Salvatore Musumeci, Giuseppe Vecchio

Idee divergenti sul dialetto siciliano

Durante la presentazione sono emerse delle idee divergenti sulla questione linguistica siciliana: il rovescio della medaglia di un dialetto divenuto ‘Lingua”. Da una parte ‘dialetto’ perché parlato in varietà linguistiche di genti siciliane. Dall’altra una ‘lingua regionale siciliana’ perché fonte ascritta ad una letteratura.
In entrambi i casi il dilemma si spiega con la virtù di identità culturale di un popolo nelle sue tradizioni e nei suoi detti locali.

Il Musumeci durante il suo intervento pone l’attenzione sull’esistenza di una Koinè letteraria in quanto nel tempo, sia a livello diacronico che sincronico, la lingua è in continua trasformazione. Perché sono i ‘parlanti’ che fanno la lingua poiché la lingua alberga nei parlanti.
Musumeci sostiene quindi l’esistenza di una vera e propria lingua letteraria siciliana quando fa riferimento alla Corte di re Federico II di Svevia, “culla letteraria” della Scuola Poetica Siciliana. I poeti della Corte di Federico erano persone colte che sapevano utilizzare il metro poetico e dunque la lingua siciliana nelle sue varie sfaccettature. Qui troviamo molti studiosi, filologi, glottodidattici che vanno alla radice dello stesso lemma per capirne l’evoluzione nel tempo. Sia dal punto di vista fonetico che dal punto di vista morfosintattico.

Giuseppe Vecchio introduce la presentazione del libro

Il dialetto siciliano è una vera lingua con una sua autonomia

Altro esempio ricorre nella stesura degli atti notarili già nel ‘700, dove si può leggere un incipit redatto in lingua latina e il restante in lingua parlata siciliana colta. E’ vero che esistono le variazioni linguistiche. Ma è anche vero che esiste una Koinè letteraria che nei secoli ha dimostrato che la lingua siciliana è una vera lingua con una sua autonomia.

Le poesie in dialetto siciliano un omaggio alla Sicilia e alle sue bellezze

Dulcis in fundo, l’autore Salvatore Marano ha voluto palesare il suo attaccamento alla Sicilia con versi gentili in riferimento anche alla figura del padre. Un omaggio alla Sicilia e ai suoi meravigliosi luoghi. All’Etna, al mito di Aci e Galatea, alle città ricche di bei monumenti come Palermo, Cefalù, Taormina e tante altre. Il tutto scegliendo “volutamente” di raddoppiare le consonanti a inizio parola e anche al suo interno. Queste sfumature di fonetica raddoppiata non vengono utilizzate nella lingua siciliana ordinaria scritta.
Comunque, al di là delle opinioni divergenti riguardo la questione linguistica siciliana, una cosa è certa. Che l’identità della cultura siciliana è un valore aggiunto che sicuramente ha dato un apporto non indifferente alla cultura italiana e a quella europea.

 

                                                                            Caterina Maria Torrisi