“Un miracolo chiamato vita”, scritto da Nunzio Currenti, si legge tutto d’un fiato. Il libro è uno spaccato di vita vissuta, in cui si alternano gioia e dolore.
Come ben sottolinea Samantha Vita nella prefazione: “ In poche intense pagine… ho ritrovato la passione di Nunzio per le cose importanti della sua vita: lo sport, la famiglia, gli amici”.
Il cuore e l’essenza del testo sono rappresentati dalla nascita dei figli gemelli, Simone e Damiano, quest’ultimo fin dai primi giorni di vita, ben 226, vive una serie di sofferenze, sempre supportato dai genitori, Nunzio ed Antonella e dalla équipe dei medici e paramedici delle Unità di terapie intensive di Neonatologia (UTIN) dell’ospedale di Garibaldi di Nesima e successivamente dal team del Reparto di Gastroenterologia Pediatrica del Policlinico di Messina. Come sottolinea il padre: ““Damiano, il nostro piccolo grande campione, è stato chiamato a confrontarsi con le sette fatiche di Ercole”.
Abbiamo intervistato Nunzio Currenti, soffermandoci sui cambiamenti che sono avvenuti nella sua esistenza dopo questa vicenda.
L’esperienza della nascita di Damiano, (gemello di Simone), le sue problematiche nei primi giorni di vita. Cito una frase molto significativa del tuo libro:“ La gioia incontenibile per un figlio, il cuore in frantumi per l’altro”. Questo ha cambiato la tua visione dell’ esistenza, i tuoi comportamenti?
Ero la persona più felice del mondo. Mi sentivo un supereroe. Essere papà di due gemelli era per me qualcosa di impensabile. Mai e poi mai avrei pensato che quel quadro idilliaco potesse diventare il peggiore degli incubi. Quei 226 giorni sono stati lo spartiacque della mia vita. Con quei mesi in ospedali mi sono sentito vero uomo con le responsabilità che ne derivano. Era così, sarà sempre così. Oggi questo libro mi dà la possibilità di raccontare quanto sia importante analizzare certi momenti dalla prospettiva giusta, quella della luce e della speranza.
L’impatto con la sanità, in particolare con l’ èquipe formata da medici e paramedici della Neonatologia del Garibaldi e di altri ospedali hanno aumentato in te e tua moglie la fiducia nelle strutture ospedaliere? In altre parole il SSN nel nostro paese gode di ottima salute, o ha delle crepe che lo stanno sfaldando?
E’ nato un rapporto di grande empatia con i salvatori di mio figlio. L’èquipe della Chirurgia Pediatrica del Garibaldi è stato straordinaria per capacità, applicazione, spirito di sacrificio e sostegno. Come del resto la Gastroenterologia Pediatrica del Policlinico di Messina, dove per Damiano è stata trovata la chiave per risolvere la sua situazione. La nostra storia ci ha permesso di far capire che le strutture e le professionalità da noi ci sono. Occorre cambiare prospettiva di fiducia. Ogni storia sanitaria segue un percorso univoco. Le crepe ci stanno. Basti pensare alle liste d’attesa, ma non dipende certo dai medici. Ho potuto constatare la grandezza di alcuni dottori e lo spirito di servizio. Mio figlio è vivo grazie a tutto questo.
“Un miracolo chiamato vita” è stato presentato al pubblico recentemente. Come è stato accolto?
Non devo essere io a giudicarlo. Non ho il polso della situazione. Mi fa piacere ricevere i messaggi di chi legge il libro. Se a ogni presentazione anche un lettore mi dirà grazie e capterà il messaggio che ho lanciato allora vorrà dire che ne sarà valsa la pena. La mia testimonianza, quella della mia famiglia, dei miei amici deve essere lo strumento per lasciare traccia in chi legge di un’impronta di grande speranza.
Durante le vicissitudini del tuo neonato, leggendo il libro, sembra che tu abbia riscoperto il rapporto con Dio. E’ un’impressione del lettore, oppure questa esperienza ti ha avvicinato realmente a Lui?
Credo che sia molto personale il rapporto con Dio. Avrei potuto analizzare certe sfaccettature che emergono nei momenti così critici. Credo che, invece, è giusto dire che ho riscoperto la preghiera. Per noi la cappella del Garibaldi di Nesima era una tappa importante nei giorni di grande sconforto.
Concludo sottolineando che il libro è uno strumento per smuovere le coscienze. Sono stato avvicinato dall’associazione ABC (bambini in crescita) per collaborare. Presto comincerò a coadiuvare pure il reparto che ha salvato mio figlio. “ Un Miracolo chiamato vita” sta dando l’ opportunità di uscire dalla dimensione delle pagine scritte per porre in essere azioni. Credo che sia la gioia più bella che potesse regalarmi il libro: donare una parte della mia vita agli altri.
Mirella Cannada