L’informazione: “Un bene da tutelare (ma con qualche distinguo)”

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– Dal caso di Avetrana alla misteriosa morte di Yara Gambirasio, dall’omicidio di Melania Rea alla recente tragedia del Giglio: nei media italiani, ormai, sembra esserci spazio solo per i più rilevanti fatti di cronaca. Ne parliamo con Alberto Catalano, giornalista mediaset per tgcom. Siamo sottoposti a un eccessivo “bombardamento mediatico”?

“Sicuramente sì e da diverso tempo. Una vecchia regola giornalistica recita così: “Tratta delle quattro “s” – sangue, sesso, soldi e sport – e avrai successo”. Non c’è dubbio che i delitti più efferati e misteriosi attraggano l’attenzione delle persone che, in questo caso, rappresentano il pubblico. Le trasmissioni che trattano questi argomenti sono in costante aumento e la spiegazione è semplice: hanno successo”.
 

– Quasi sempre i casi di cronaca che vengono minuziosamente sviscerati in televisione o sulla carta stampata o su internet sono ancora soggetti a indagine: c’è il rischio che i giornalisti possano influenzare il corso delle indagini stesse?

“Difficilmente un processo viene indirizzato in un senso o nell’altro in base al clamore che gli gira intorno, però è innegabile che alcuni casi diventino più che altro mediatici. In questo modo si corre il rischio che al giudice meno esperto venga la piccolissima “tentazione” di dare in pasto all’opinione pubblica un colpevole e non “il” colpevole. Qualche anno fa fu Luciano Moggi a sollevare la questione durante Calciopoli e, in questi giorni, l’avvocato di Schettino, il comandante della Costa Concordia, ha ribadito il concetto. Detto questo, Alberto Stasi è già stato ritenuto innocente in due gradi di giudizio per l’omicidio dell’ex fidanzata Chiara Poggi e la coppia Amanda Knox-Raffaele Sollecito è stata assolta per il caso di Perugia”.

– Il diritto dei cittadini ad essere informati è più importante della privacy degli interessati che spesso sono già vittime di violenze o traumi?

“La questione è molto delicata. Diversi anni fa mi laureai con una tesi dal titolo “I confini etici del diritto di cronaca”. Analizzai tre casi: quello di Cogne, quello di Novi Ligure e quello di Lady Diana. Tutti dalla clamorosa risonanza mediatica, tutti con minori protagonisti (alcuni di loro vittime, altri carnefici, altri ancora – come i figli di Lady D. – vittime “indirette”). I media, mi sembra innegabile, esagerano troppo spesso e talvolta lo fanno senza buona fede. Si sa che il pubblico ama gli aspetti più morbosi e, così, lo si accontenta in nome dello share o delle copie vendute. Di sicuro sarebbe doveroso non concentrarsi su particolari irrilevanti o su aspetti che possono ledere la sensibilità individuale o sociale. E pensare che qualcuno inventò la figura del Garante della Privacy …”.   

– Fino a che punto può spingersi un cronista per carpire dettagli?

“Non esistono “cartelli stradali”. C’è un codice deontologico che pone qualche paletto, il problema – come sempre – è far rispettare le regole. Ognuno sfrutti le sue fonti, ma in maniera corretta. E non ci si può approfittare di persone fragili solo per fare uno scoop che nella maggioranza dei casi verrà presto dimenticato. L’informazione è un bene che va assolutamente tutelato, ma con le debite precisazioni e i necessari distinguo. Facendo parte della categoria, posso permettermi di dirlo: brutta razza i giornalisti …”.

Alessandra Distefano