Parla il vescovo di Acireale: la Chiesa nel Mezzogiorno deve rivolgersi ai poveri, alle famiglie, al mondo del lavoro, a chi non ha più fiducia. Per chi crede nel Vangelo dire che il Sud è irredimibile non è possibile. La mafia? Colpisce in primo luogo i poveri impedendo la crescita solidale della società
La risposta cristiana alla criminalità organizzata è l’annuncio del Vangelo anche a livello personale a chi è affiliato alla mafia. Dobbiamo dire la verità; la scomunica del papa ai mafiosi ha un valore terapeutico, curativo, e allo stesso tempo segna un confine netto: altrimenti tutta la comunità cristiana rischia di restare infettata. È quanto dichiara a Vatican Insider monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, in provincia di Catania, che nel recente passato ha pronunciato parole severe contro i mafiosi. Abbiamo intervistato il vescovo in occasione di uno degli incontro organizzati dalla diocesi di Roma nell’ambito dei «Dialoghi in cattedrale». Monsignor Raspanti è infatti anche vicepresidente del comitato preparatorio del V convegno ecclesiale che si terrà a Firenze il prossimo anno.
Visitando la periferia romana di Tor Bella Monaca il Papa ha detto che la mafia usa e sfrutta i poveri. Nella realtà siciliana questo cosa significa?
«La mafia impedisce alle persone di elevarsi dal punto di vista sociale e civile e quindi non consente che la società instauri quei rapporti di fiducia solidi che fanno sì che i vari corpi sociali, avendo fiducia l’uno nell’altro, si coalizzino e crescano. Invece, così, la società rimane frammentata, sempre un po’ schiava di chi è più violento. Significa che uno stato di diritto non è possibile. E chi ne fa le spese? Le fasce più deboli, chi non sa difendersi, chi non è prepotente, insomma».
Qual è la risposta cristiana possibile di fronte al fenomeno della criminalità organizzata?
«Annunciare il Vangelo anche personalmente a chi è mafioso, a chi aderisce costitutivamente alla mafia, a chi si affilia. Per tutti Gesù è sempre la porta aperta della salvezza, è chiaro che ci vuole davvero una risposta di apertura di fronte a questo, e non certe risposte date da alcuni mafiosi, comprese quelle che abbiamo letto nei pizzini religiosi, che vogliono addirittura manipolare Dio, così il Dio della Chiesa non ha importanza, conta il mio dio, il dio come in fondo me lo costruisco a mia immagine e somiglianza, il che alla fine è un po’ un delirio di onnipotenza. Da parte nostra la risposta è veramente annunciare il Vangelo avendo fiducia che nel cuore di ognuno c’è una coscienza».
Che significato bisogna attribuire alla scomunica pronunciata dal papa contro i mafiosi?
«Tutte le scomuniche, fin dalla prima di San Paolo, hanno un valore fondamentalmente curativo. Innanzitutto dichiaro una cosa in modo netto, dico cosa è aderire al Vangelo e cosa non lo è, altrimenti tutta la comunità cristiana rischia di rimanere infettata, quindi una presa di distanza. Ma anche contemporaneamente la voglia di dire: io ti avverto perché tu ti possa ravvedere e convertire. Quindi secondo me ha sempre un intento terapeutico perché l’altro si ravveda: tu gli annunci la verità, ma lui non è nella verità e glielo devi dire in modo netto, chiaro».
Quali sono le priorità della presenza della Chiesa nel Mezzogiorno?
«Secondo me la capacità di ridare fiducia ai giovani e al mondo della strada, parlo del lavoro, delle famiglie, di tutti quelli che secondo me, a un certo punto, sono così sfiduciati che si abbattono e dicono questo Mezzogiorno è irredimibile. Noi, se crediamo nel Vangelo, non possiamo mettere la firma su questa frase».
Come vi state preparando al prossimo sinodo sulla famiglia?
«Cerchiamo di far passare questo questionario, in verità è un lavoro che in parte abbiamo già fatto, a tutte le componenti come le parrocchie, ma anche fuori ai laici, facciamo il massimo sforzo per diffonderlo».
E c’è una risposta?
«Sì, non male, una risposta c’è».
Francesco Peloso