Lipari / Emilio Lussu e la fuga dall’isola del diavolo

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E’ una tranquilla notte di luglio, quando all’improvviso uno scafo a luci spente si avvicina all’isola di Lipari. La corrente lo porta troppo vicino alla costa, proprio mentre due soldati fascisti stavano facendo il giro di ronda. Nel frattempo tre uomini si gettano tra le onde gelide, sperando di non essere visti. Tra di loro c’è il deputato Emilio Lussu, il protagonista della poco conosciuta “fuga da Lipari”, l’isola del diavolo.

Fuga da Lipari / Chi è Emilio Lussu?

Pochi sanno che Lipari, nel periodo fascista, era una prigione per gli oppositori politici. Bastava poco per essere rinchiusi: una parola di disprezzo verso i bollettini di guerra o il rifiuto del saluto romano. Le numerose isole siciliane erano il luogo perfetto per la deportazione, una sorta di “Alcatraz siciliana per gli elementi giudicati pericolosi. Alcuni dei sopravvissuti hanno deciso di raccontare la loro esperienza di prigionia, per non far disperdere il ricordo di questi campi, la cui memoria è stata volutamente occultata. Emilio Lussu, antifascista e membro della Resistenza e della ricostruzione, è uno di questi.

Le isole maledette

Lussu, Nitti e Rosselli subito dopo la fuga

Nonostante Lipari fosse una delle “migliori” isole di deportazione, la vita dei prigionieri non era affatto semplice. Ogni due detenuti era schierato un soldato della Milizia. Le relazioni con la popolazione civile erano severamente proibite. Libri, circoli sportivi e ogni altro tipo di attività erano state gradualmente abolite. Non si poteva conversare in gruppo né andare in spiaggia. La notte si arrivava anche a 12 appelli. I militari erano obbligati a provocare i prigionieri e spesso venivano inviati degli agenti sotto copertura che fomentavano la rivolta. Inutile citare i numerosi arresti che seguivano e le atroci torture dei corpi flagellati poi immersi in aceto e sale, o peggio.

L’insurrezione

Racconta Lussu che, per il Natale del 1929, al tramonto, sulla linea di sbarramento, una capra starnutì. Le sentinelle fasciste più vicine trasalirono. Non era questo, per caso, un segnale convenuto dai detenuti per l’insurrezione? Prontamente spianarono i moschetti e dettero il “chi va là!”. La capra non rispose. Senza esitazione aprirono il fuoco. Tutte le altre pattuglie si credettero in pericolo e cominciarono a sparare. Partirono le cannonate dai motoscafi di pattuglia. Spararono fino a finire le munizioni, ferendo prigionieri e civili. Dopo questa “memorabile prova di coraggio” vennero tutti rimpiazzati da un’altra divisione della Milizia.

La maschera del Fascismo

Mussolini si guardò bene ovviamente dal rendere pubbliche le condizioni di vita dei prigionieri. Piuttosto utilizzò le isole di confino per alimentare la leggenda della “bonarietà mussoliniana” creata da lui stesso. L’obiettivo? Nascondere gli aspetti più violenti della dittatura fascista. In un discorso al Parlamento, Mussolini definì i confinati come delle “cellule infette” della società che dovevano essere isolate e curate. Grazie alla metafora hegeliana della violenza come “igiene sociale”, il duce riuscì a far passare la “Siberia Siciliana come un atto di clemenza.

Ai giornalisti e diplomatici più curiosi, i funzionari fascisti lasciavano infatti intendere che era grazie al Duce se gli oppositori non venivano sterminati (come il prof. Carmelo Salanitro) ma mandati in isole dall’indiscussa bellezza. Mai nessun giornalista (neanche i fascisti più convinti) riuscì ad entrare sull’isola. O meglio, nessuno tranne Mino Malaparte, che ha documentato l’esperienza. Ovviamente gli era negato il permesso di visitare i dormitori e le infermerie e di interrogare i confinati senza testimoni.

La fuga di Emilio Lussu da Lipari

Ma dopo 4 tentativi, il “club dell’evasione”, formato da Lussu, Nitti e Rosselli riuscì a fuggire. È il 27 luglio 1929. Ognuno si era specializzato in un ambito, astronomia, navigazione etc. Li aiutò moltissimo la moglie inglese di Rosselli, che aveva contatti oltremare. Il caso però volle che la sera della fuga la luna fosse coperta, dunque la milizia di ronda scambiò il canotto per un’imbarcazione fascista che controllava le coste. Grazie a questa casualità, quando venne dato l’allarme ormai erano troppo lontani.

Nelle pagine conclusive del libro “Marcia su Roma”, Lussu scrisse che, il mattino seguente, i compagni cominciarono a discutere di come le dittature si stessero diffondendo in tutta Europa. “Il mondo va a destra!” disse uno. “No, il mondo non va né a destra né a sinistra. Il mondo continua a girare su sé stesso” rispose Lussu. Da lì iniziò la sua battaglia per un’Italia nuova.

Cristina Di Mauro