Nell’ormai spopolato campo palestinese, a pochi chilometri dalla capitale, si sta consumando un’altra delle pagine più tragiche della guerra in Siria. Fazioni palestinesi, un tempo divise, ora lottano unite contro il nemico comune, lo Stato islamico e il suo alleato Al Nusra. Un’unità di intenti che difficilmente, però, potrà avere replica nella vita politica palestinese a Gaza e in Cisgiordania
Se mai la galleria degli orrori della guerra siriana, entrata da poco nel suo quinto anno, avesse avuto bisogno di un’altra macabra attrazione questa, oggi, non può che essere il campo palestinese di Yarmuk, situato a pochi chilometri dal centro di Damasco. Prima della guerra era popolato da circa 150 mila persone mentre oggi ne conta poco meno di 20 mila. Il campo risale al 1957, costruito per accogliere i palestinesi in fuga dalla guerra arabo-israeliana del 1948. Dotato di proprie moschee, scuole, uffici e ospedali, Yarmuk può essere considerato una città nella città, almeno fino al 2012, quando è diventato teatro di scontri tra le forze del governo di Bashar al-Assad e l’opposizione armata. Drammatica è la situazione umanitaria: secondo il funzionario dell’agenzia Onu per i Rifugiati (Unrwa), Chris Gunness, “a Yarmuk si vive al di là del disumano”, senza acqua, medicine, cibo, in mezzo alle macerie e sotto le bombe. A riguardo, ieri, 6 aprile, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso profonda preoccupazione per la drammatica condizione in cui verte il campo. Una risposta debole rispetto alla richiesta di qualche giorno fa dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) all’Onu di agire immediatamente per mettere in campo tutti i mezzi necessari per evacuare immediatamente i civili. “La priorità – ha dichiarato Saeb Erekat, esponente dell’Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina – deve essere salvare i rifugiati palestinesi nel campo e creare un salvacondotto per farli uscire dalla trappola mortale in cui Yarmouk si è trasformato”.
A peggiorare ulteriormente il quadro adesso è l’inserimento, tra le forze lealiste di Assad e i ribelli, del terzo incomodo, ovvero le milizie dello Stato Islamico e quelle del fronte Al Nusra, affiliazione siriana di Al Qaeda, che in cinque giorni di combattimenti strada per strada, casa per casa, hanno ormai preso possesso del 90% del campo, ponendo di fatto le loro basi alle porte della Capitale siriana. E come spesso accade sotto la bandiera nera del Califfato, sono cominciate le esecuzioni sommarie, i rapimenti e le decapitazioni. Nel quadro confuso della crisi siriana l’alleanza tra Stato Islamico e Al Qaeda appare in qualche modo inedita – le due fazioni un anno fa erano in concorrenza e si combattevano aspramente – e è probabilmente dovuta a comuni strategie sul fronte di guerra. Oggi le testimonianze dal campo palestinese e report di diverse ong, come l’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra, raccontano che i miliziani delle due fazioni combattono fianco a fianco nelle strade di Yarmuk. A difendere i rifugiati del campo sono i combattenti palestinesi delle brigate Aknaf Bait Al-Maqdes, nate da una costola di Hamas, e aderenti alle formazioni vicine a Fatah che potrebbero, a loro volta, avere unito le forze contro il nemico comune. Da Gerusalemme e da Gaza giungono gli echi di manifestazioni palestinesi di piazza contro l’Isis e i qaedisti.
La dichiarazione di Erekat, “i palestinesi di Yarmuk sono perseguitati e colpiti in una guerra che non è loro”, invocando di fatto una certa neutralità, sembra dunque essere superata dai fatti. Divise a Gaza e in Cisgiordania, queste due componenti palestinesi, spiega Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (Cipmo), “costrette dalla situazione di emergenza stanno unendo le loro forze per respingere l’attacco indiscriminato di Is e Al Nusra”. Questa unione di intenti, tuttavia, secondo Cingoli, “è difficilmente riconducibile ad un livello più generale di normalizzazione dei rapporti tra Autorità nazionale palestinese (Anp) e Hamas” impegnati da tempo in un lungo cammino di riavvicinamento volto alla formazione di un governo di unità nazionale che è ancora tutto “in alto mare”. “Nessuna ricaduta, almeno per ora, per i rapporti tra Hamas e Anp” conclude il direttore del Cipmo.
Mentre le fazioni palestinesi cercano di fronteggiare i contingenti del Califfo, l’esercito di Damasco continua a bombardare. Yarmuk rappresenta una posizione strategica, un punto di passaggio verso le zone più centrali di Damasco, da proteggere per impedire che i terroristi possano raggiungerle. Da proteggere a tutti i costi, rispondendo colpo su colpo, anche a costo di radere al suolo il sobborgo. Si potrebbe leggere anche in questa ottica la decisione del Governo di consentire l’evacuazione di circa 3000 palestinesi del campo accolti nei distretti di Tadhamon e Zahira. Si conferma così quello che per centinaia di migliaia palestinesi è uno status: quello di profughi.
Daniele Rocchi