Si è svolto a Castelgandolfo l’incontro tanto atteso tra Benedetto XVI, Papa emerito e Francesco. Tutto si è volto nella riservatezza e secondo la volontà manifestata al momento delle dimissioni: nascondersi agli occhi del mondo per continuare a vivere accanto alla Croce di Cristo. Solo qualche immagine o il racconto del portavoce a testimoniare il clima di fraternità – quasi di tenerezza – tra Papa Francesco e il suo predecessore.
In molti si sono domandati come la Chiesa avrebbe vissuto questa pagina inedita della sua storia, dovuta alla compresenza del nuovo pontefice con chi lo ha preceduto. Se si guardano le cose solo da un punto di vista umano, in questo caso dal punto di vista politico, ci si aspetterebbero tensioni: chi assume un incarico nuovo, facilmente, al fine di affermarsi, finisce con il prendere le distanze da chi lo ha preceduto; chi ha lasciato, frequentemente, mantiene ancora contatti così da influenzare l’andamento delle cose e mostrare che ancora conta.
Questo non è avvenuto nella delicata successione del Papa, perché nessuno ha considerato il governo pastorale come un esercizio di potere, ma Benedetto XVI e Francesco si sono dichiarati al servizio di un Altro che guida la Chiesa. Con questa considerazione si entra in un ambito delicato, che è quello della dimensione soprannaturale della Chiesa; esso non è accessibile solo a chi ha fede, ma a chiunque – con onestà – sia pronto a riconoscere che gli uomini possano rendere conto non solo a se stessi, ma anche a Dio e che questo riferimento ultimo sia per loro più importante di ogni altro.
Se ci si mette nella prospettiva giusta, si comprende che parole e gesti non sono né formali né di circostanza, ma esprimono la propria intima convinzione. Si può così provare ad entrare nel pensiero di Papa Francesco che, all’indomani della sua elezione, ricordava ai confratelli cardinali, quanto aveva imparato dal suo predecessore. “Come ci ha ricordato tante volte nei suoi insegnamenti e, da ultimo, con quel gesto coraggioso e umile, il Papa Benedetto XVI, è Cristo che guida la Chiesa per mezzo del suo Spirito. Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa con la sua forza vivificante e unificante, di noi fa un corpo solo, il Corpo mistico di Cristo”. Il Pastore dei pastori dunque non è il Papa, ma Cristo, che affida il suo gregge a chi sceglie per questo compito; è lui, mediante lo Spirito Santo, a creare quella comunione o armonia tra personalità che sono diverse.
Qui c’è un altro punto importante: nessun pontefice è uguale ad un altro. E non c’è da meravigliarsi dal momento che Dio, chiamando gli uomini a collaborare con sé, non sopprime la loro personalità, ma li lascia liberi di esprimere con tutto se stessi il ministero loro affidato. Lo Spirito Santo “dà a ciascuno di noi carismi diversi, ci unisce in questa comunità di Chiesa, che adora il Padre, il Figlio e Lui, lo Spirito Santo” sono ancora le parole del Papa ai cardinali. Sbaglierebbe, dunque, chi volesse vedere nelle legittime differenze, dovute alla propria storia o formazione, una contrapposizione, peggio una rottura.
Al contrario, resterebbe ammirato chi considerasse il fatto che uomini appartenenti a aree geografiche così distanti, si riconoscano nella medesima fede e nello stesso impegno.
Se possono esserci differenze di stile, se ogni Papa ha la libertà di modificare come ritiene meglio la forma esteriore, non verrà mai meno la fedeltà a Cristo nell’esercizio del magistero. Ricevendo il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco ha già rivelato quella continuità di pensiero, che lega, come un filo rosso, un Papa all’altro. Ha parlato dei poveri della Terra, che a lui stanno molto a cuore a motivo della condizione della diocesi in cui era vescovo sino a pochi giorni fa. C’è una povertà materiale, ma c’è una non meno diffusa povertà spirituale che “riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la dittatura del relativismo, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini”.
Insomma, appare chiaro che quando nella Chiesa gli uomini si pongono al servizio di Dio, rinunciano ad ogni logica umana di potere o di influenza sugli altri. Sono coinvolti in un progetto di fedeltà, che va oltre le logiche mondane e possono restare anche vicini. Qualcuno ha sognato per Benedetto XVI una dimora lontana, quasi la sua presenza fosse un ostacolo alla libertà di papa Francesco. Siamo realisti: difendere il ritiro dal mondo di un Papa non è una cosa da poco; qualunque soluzione avrebbe comportato maggiori disagi, che non dimorare ancora accanto alla tomba del beato Pietro. Insieme come fratelli: non c’è pericolo!
Marco Doldi