Lordo e netto: come risalire dagli ultimi posti della classifica Ue?
Le statistiche dicono e non dicono. Forniscono un numero, non lo spiegano. In Italia, poi, ogni numero va valutato con almeno un paio di lenti d’ingrandimento.
Quindi la statistica di Eurostat che mette le retribuzioni italiane agli ultimi posti nell’Unione europea – 23.406 euro lordi all’anno per lavoratore – fanno certo capire che qui non siamo in Lussemburgo (quasi 49 mila euro). Ma che un valore simile, inferiore a Grecia e Cipro, va letto con attenzione.
A spanne, quella retribuzione corrisponde ad una media mensile di 1.800 euro lordi (per tredici mensilità). Il netto si aggira sui 1.200-1.300 euro, tolte le tasse, l’enorme quantità di contributi previdenziali e tutte quelle “vocine” in busta paga che ci erodono pochi euro alla volta. Ogni categoria lavorativa ha le sue dinamiche retributive; ogni zona d’Italia pure: qui stiamo parlando di stipendi in aziende con più di 10 dipendenti.
Di solito, in queste categorie di lavoratori manca un colore: il “nero”. A parte qualche caso di straordinari pagati “in mano”, qui l’economia sommersa non fa granché capolino. Eppure l’unanime considerazione che scaturisce da un simile dato è: con un simile stipendio non si campa, da Brunico a Pantelleria; figuriamoci al Nord e nelle grandi città.
Per fare ancor più chiarezza: con un simile stipendio, non campa una famiglia monoreddito. E questa verità gli italiani la conoscevano già da anni, senza bisogno di consultare le statistiche di Eurostat. Infatti, per mangiare pure gli ultimi giorni del mese, è da tempo necessario che siano due gli stipendi in famiglia. Oppure almeno uno dei percettori di reddito, in famiglia, deve appartenere a quelle categorie lavorative un po’… bugiarde col Fisco italiano. Ci siamo capiti.
C’è chi giustamente lamenta l’enorme peso fiscale e contributivo che grava sugli stipendi italiani, che devono farsi carico del peso molto più leggero che sta sulle spalle di altri redditi. È vero: il lavoratore italiano paga contributi previdenziali per chi è già in pensione; li paga pure per chi lavora, ma li evade; li paga infine per se stesso. Forse.
Quindi c’è tanta di quella strada da fare, in questo senso, per rendere più equo l’intero sistema, meno gravoso per una parte d’italiani che ha sempre meno da scialacquare. Ma la vera questione è un’altra: è vero che le retribuzioni lorde sono tempestate di trattenute varie; ma è anche vero che sono oggettivamente basse. Almeno rispetto al costo della vita che non è quello portoghese o cipriota.
Insomma, industria, commercio e servizi vari pagano poco i loro dipendenti, in Italia. Un appiattimento retributivo ormai ventennale, che ha dovuto fare i conti con l’euro. Abbiamo la stessa moneta nominale della Germania; non avevamo né la ricchezza né il suo costo della vita. Gli anni successivi al 2002 hanno riequilibrato questa situazione: l’Italia ora è più cara e le retribuzioni si sono abbassate. Così ora siamo come prima: ricchi la metà dei tedeschi.
Il ministro Elsa Fornero sostiene che il grande problema italiano è quello della produttività del lavoro. È bassa, quindi non crescono le retribuzioni. Forse il vero problema è un altro: c’è poco lavoro, c’è tanta offerta dello stesso. Una banale legge economica ci dice che, in simili condizioni, il “valore” del lavoro è basso. C’è sempre qualcuno “che costa meno” a disposizione.
Il futuro? Guardiamolo in faccia. C’è un sistema del lavoro che crea milioni di sottoccupati che quei 1.300 euro al mese li sognano ad occhi aperti. C’è una globalizzazione che mette in competizione il lavoratore italiano non più con il suo collega della ditta a fianco, ma con l’operaio vietnamita o l’ingegnere indiano. C’è infine un progresso tecnologico tutto incentrato su internet e informatica, che per loro natura “distruggono” posti di lavoro in tutto l’Occidente.
Quindi temiamo che non sia come dice il ministro, ma che questa dinamica salariale sia destinata a rimanere tale a lungo. Qualcosa potrebbe fare – e lo sta facendo in questi mesi – lo Stato: se spenderà meno e spenderà meglio, potrebbe chiudere un po’ l’enorme forbice che c’è in Italia tra retribuzioni lorde e nette. Può creare le condizioni per attirare qui investimenti stranieri e conseguenti posti di lavoro; può mettere il fiato sul collo di chi chiude qui per aprire oltrefrontiera.
Potrebbe nel frattempo rimodulare tutta la fiscalità in base ai carichi familiari, alla presenza o meno di uno o più figli… Ma no, questa è una favola che si legge in francese o in tedesco, ma che non ha ancora trovato traduzione in italiano.
Nicola Salvagnin