Lotta al terrorismo / Una commissione di studio del governo per mappare il fenomeno e contrastarlo

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Si è insediata a Palazzo Chigi una commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista in Italia. Alessandro Orsini della Luiss: “L’affermazione secondo cui siamo impotenti di fronte al fenomeno del terrorismo è oggettivamente falsa. E’ invece essenziale investire nello studio del terrorismo, nella prevenzione e nel contrasto perché gli investimenti rafforzano i governi e indeboliscono i terroristi”.

Il terrorismo, la radicalizzazione e l’estremismo jihadista si possono combattere a patto però che il 755x491x20160901-Roma-Comitato-Antiradicalismo-755x491.jpg.pagespeed.ic.3ksE7tO-Gnfenomeno sia scientificamente mappato e conosciuto. E’ con questo spirito e questa finalità che si è insediata a Palazzo Chigi la commissione di studio con il compito di esaminare lo stato attuale del fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista in Italia. La prima riunione si è svolta giovedì 1 settembre ed è stata introdotta dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e dal sottosegretario Marco Minniti, autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, che hanno fortemente voluto questa realtà di studio.

La commissione è indipendente ed è composta da studiosi di varie discipline: giuristi, sociologi, psichiatri, esperti di politica internazionale, giornalisti. Avranno 120 giorni per fare un lavoro sulla radicalizzazione in Italia, disegnare una mappatura del fenomeno, ascoltare in audizione esperti e redigere una relazione finale che consegneranno nelle mani del presidente del Consiglio. Alessandro Orsini fa parte della commissione: è uno dei massimi esperti italiani di terrorismo ed è autore del libro “Isis: i terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli” (Rizzoli). Professore di sociologia del terrorismo, è stato chiamato recentemente dalla Luiss di Roma per dirigere un Osservatorio sulla sicurezza internazionale che studia l’evoluzione della minaccia jihadista in 44 paesi. Il progetto sarà ufficializzato a ottobre presso il Centro di ricerca sui processi di democratizzazione (Icedd).

“C’è evidentemente una preoccupazione – dice – che è stata anche manifestata dal ministro degli interni Alfano. La mia impressione è che questa preoccupazione sia cresciuta con l’inizio dell’offensiva militare contro l’Isis in Libia”. Qualcuno ha notato che la Commissione si è insediata poco tempo dopo l’inizio dei bombardamenti americani contro l’Isis a Sirte ma Orsini ricorda che “il progetto è stato concepito prima che avesse inizio l’offensiva in Libia”.

E’ compito della Commissione mappare la situazione e fornire il massimo delle informazioni al governo per consentire il miglior lavoro possibile di controllo e prevenzione. Fino ad oggi, le aree geografiche più interessate al fenomeno sono state quelle tradizionalmente del Nord Italia. La Lombardia è stata la regione che ha ospitato il maggior numero di “complotti jihadisti” e per complotti jihadisti si intendono anche i tentativi di costituire una cellula jihadista. Sul perché soprattutto in Nord Italia, c’è da indagare e le ragioni possono essere varie.

Una cosa invece appare certa ed è la constatazione che in Italia gli studi sul terrorismo non si sono sviluppati  e che l’università italiana non ha finora investito in modo adeguato nello studio scientifico del terrorismo. “Anche qui – osserva Orsini – le ragioni sono varie. Sicuramente il fenomeno da noi non è stato finora percepito come lo è in altri paesi che sono sicuramente più a rischio. Se si guardano le statistiche sui complotti jihadisti, l’Italia è uno dei paesi che si posiziona in fondo alla cosiddetta classifica dell’odio jihadista”. La classifica viene stabilita in base al numero di complotti jihadisti contro le città occidentali. La Francia e l’Inghilterra sono in vetta alla classifica mentre Italia e Spagna sono tradizionalmente in basso, sebbene la situazione stia purtroppo lentamente cambiando. Quindi una ragione del ritardo dell’Università italiana può essere spiegato con il fatto che il nostro paese non è stato bersagliato come altri paesi dai terroristi islamici. ”Però è un ritardo – fa osservare Orsini – che rischia di avere ripercussioni negative sulla nostra capacità di comprendere il fenomeno e di sviluppare politiche di prevenzione adeguate. La Presidenza del Consiglio sta cercando di incoraggiare lo studio del terrorismo in molti modi”. Lupi solitari, reti di ragazzi giovanissimi presi nelle maglie del jihadismo che viaggia su Internet. Ma la prevenzione non è una “mission impossible”. “Se guardiamo le statistiche – dice Orsini – nella stragrande maggioranza dei casi, i servizi di intelligence sono efficienti, nel senso che riescono a sventare gli attentati e individuare le cellule. Se guardiamo in Francia e in Inghilterra, il numero dei complotti jihadisti sventati è sempre di molto superiore a quelli che vengono messi a segno.

L’affermazione secondo cui siamo impotenti è oggettivamente falsa ed è quanto mai essenziale investire nello studio del terrorismo, nella prevenzione e nel contrasto perché gli investimenti rafforzano i governi e indeboliscono i terroristi”.

E’ chiaro che, se una organizzazione terroristica prende di mira un paese, e lo bersaglia cento volte, alla fine riesce a realizzare un attentato. “Quello che io dico sempre – sostiene Orsini – è che il valore di un servizio di intelligence non si misura in base agli attentati che un paese subisce ma in base a quelli che riesce a sventare. Se noi utilizzassimo il criterio secondo cui i servizi segreti migliori sono quelli che non subiscono attentati, dovremmo giungere alla conclusione che i migliori servizi di intelligence del mondo quelli cioè americani, inglesi, russi e israeliani sono pessimi perché sono quelli che hanno subito attentati terroristici terribili”.

Ma, secondo il sociologo, occorre saper andare oltre l’intelligence. “La prevenzione – spiega – si fa anche attraverso le narrazioni pubbliche di coloro che influiscono sulle rappresentazione collettive attraverso la radio, la televisione e i quotidiani. Non è una buona idea, ad esempio, affermare che l’Isis minaccia di arrivare a Roma, omettendo di dire che l’Isis subisce soltanto sconfitte impressionanti e che, sotto il profilo militare, è un fenomeno pressoché irrilevante”. Occorre anche favorire il dialogo interreligioso e, soprattutto – aggiunge immediatamente il professore – “è necessario intensificare la lotta contro i pregiudizi e contro le discriminazioni verso i musulmani. Perché gli studi ci dicono che, in alcuni casi, discriminazioni e pregiudizi sono fattori di radicalizzazione verso l’estremismo islamico”.

L’auspicio è che l’università italiana possa investire di più nello studio del terrorismo. “La politica italiana lo sta facendo. Ma la mia impressione è che l’università italiana, con alcune eccezioni importanti, sia in ritardo rispetto alle università degli altri paesi. Da noi c’è un deficit che non è politico, ma accademico. Il terrorismo islamico si combatte conoscendolo e infatti le università americane investono molto nello studio di questo fenomeno, fornendo al governo americano, e alla sua intelligence, tutte le informazioni necessarie al lavoro di controllo e prevenzione del terrorismo”.

M. Chiara Biagioni

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