Dal Reddito di inclusione sociale (Reis) proposto dalla ”Alleanza contro la povertà in Italia” al Family Act presentato dai parlamentari di Area popolare; dal Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, alle ipotesi formulate dal Governo in vista della Legge di stabilità. La comparazione con l’Europa e i dubbi sollevati dagli esperti
Secondo la Caritas Italiana, dall’inizio della crisi ad oggi (2007-2014) la povertà assoluta nel nostro Paese è raddoppiata, passando da 1,8 a 4,1 milioni di poveri. Non solo la percentuale di questi poveri “assoluti” è salita dal 3,1 al 6,8 della popolazione, ma in genere i poveri in senso lato (circa il 12% della popolazione) sono diventati ancora più poveri. E che fare di fronte a questa miseria dilagante? Vari “soggetti” politici e del privato sociale sono scesi in campo, con le loro proposte. Eccole qui di seguito.
Reis. La rete di “Alleanza contro la povertà in Italia”, composta dalla stessa Caritas Italiana insieme con Acli, sindacati, Azione cattolica, S. Egidio, Forum Terzo Settore, Focolari, Action aid, Confcooperative, S. Vincenzo dè Paoli, Banco alimentare, Jesuit social network e altri, hanno elaborato lo strumento del “Reis” (Reddito di inclusione sociale). Si tratta di un sistema di erogazione di una somma pari alla differenza tra il reddito della famiglia povera e il minimo Istat della soglia di povertà. Stimato in una forchetta tra 300 e 500 euro mensili a famiglia, sarebbe gestito dai Comuni e unito a politiche attive di sostegno e ricerca del lavoro. Il suo costo sarebbe di 1,7/2 miliardi il primo anno (per mettere a punto il meccanismo) arrivando a regime nel 2018 attorno ai 7,5 miliardi di euro. Per approfondimenti: www.redditoinclusione.it
Family Act. Si tratta del pacchetto di norme, agevolazioni fiscali e bonus a sostegno dei nuclei familiari con figli presentato all’inizio di agosto dai parlamentari di Area Popolare, i “centristi” della maggioranza che sono per lo più politici di ispirazione cattolica. Alfano e Lupi, i due esponenti più in vista, in varie sedi hanno spiegato le modalità previste dal “pacchetto”, che vale 7 miliardi: detrazioni per i figli a carico (da 1.150 euro per un figlio a 8.400 per 4 figli); deduzione 80% spese per neonati; indennità per congedo parentale dal 30 al 60% della retribuzione; assegno baby sitter; voucher 1.000 euro per ciascun figlio per spese istruzione fino ai 18 anni; agevolazioni acquisto e affitto case per giovani coppie; bonus aggiuntivo di 500 euro oltre i 750 attuali per ciascun genitore a carico; e altre voci. “Il ‘Family Act’ è il primo progetto organico di riforma fiscale nel rapporto Stato-famiglie”, dicono i promotori.
Reddito di cittadinanza. Proposto dal Movimento 5 Stelle e anche da Sel con leggere differenze. Si tratta di un assegno di 780 euro mensili a chi è sotto la soglia di povertà, fissata dall’Istat a 7.200 euro di reddito annuo. Il partito di Sel parla invece di 600 euro a chi ne guadagna meno di 8.000. La copertura finanziaria verrebbe dai tagli alle pensioni d’oro, agli armamenti, ai finanziamenti dei partiti ecc… Ai beneficiari dovrebbero essere offerte tre proposte di lavoro: se rifiutano è prevista la decadenza del sussidio. Il costo di questo “reddito” è il più alto tra le proposte, in quanto riguarderebbe ben 9 milioni di persone, per un totale di 17 miliardi di euro.
La posizione del Governo. Come ampiamente divulgato dai mass media, il governo Renzi non prevede di adottare un qualsiasi “reddito di inclusione” o “di cittadinanza”. Come intervento sulla povertà punta infatti sugli 80 euro in busta paga, sul taglio delle tasse sulla prima casa, le decontribuzioni del lavoro (Jobs Act e tutele crescenti), sulla rimodulazione delle pensioni (revisione legge Fornero), su aiuti modulati per il Sud, il lavoro femminile, gli esodati, oltre alle nuove forme di cassa integrazione. Però nella prossima Legge di Stabilità sembra siano previsti tra gli 800 milioni e il miliardo di euro per piccoli provvedimenti di sostegno diretto quali bonus di 150-200 euro per ogni figlio di famiglia con redditi “zero” o sotto la soglia di povertà.
Cosa si fa negli altri Paesi europei. In Europa la situazione è molto varia e di fatto non facilmente confrontabile, stante le diverse politiche sociali presenti in ciascun paese. Comunque, mentre l’Italia insieme a Spagna, Portogallo, Ungheria e Grecia non dispone di un “reddito minimo garantito” o “di cittadinanza” o “reis” che lo si voglia chiamare, il Belgio eroga dai 613 euro (persone sole) fino a 1.161 euro (coppie con due figli). La Danimarca, come altri paesi nordici, è tra le più generose: dai 1.500 ai 3.000 euro al mese, con vincolo di partecipare a politiche attive di lavoro. La Germania è più prudente: dai 345 ai 1.035 euro, sempre con obbligo di corsi formativi. Parimenti la Francia (425-900 euro, se single o famiglie), la Gran Bretagna (700-1.500) e così via.
Dubbi e obiezioni sugli strumenti. Il dubbio di fondo sollevato da economisti, sociologi, studiosi vari è che un “reddito minimo garantito” darebbe vita a una società dove la platea degli occupati sosterrebbe un’ampia fetta di disoccupati (alcuni milioni), poco invogliati a trovare lavoro grazie al contributo statale sicuro per legge. Qualcuno ha parlato addirittura del rischio di creare milioni di cittadini “indolenti” che, con vari espedienti, troverebbero il modo di campare tutta la vita con tale sussidio. Altri ancora propongono di cancellare tutte le forme presenti di aiuto (disoccupazione, cig, accompagnamento, invalidità, assegni sociali, esenzioni ticket ecc.) e creare un “voucher unico” che rimpiazza tutto il vecchio welfare. Il dibattito è aperto, anche se – visti gli attuali vincoli di bilancio europei – per la Legge di stabilità di quest’anno molto probabilmente non si potrà fare molto.
Luigi Crimella