Lotta alla povertà / Sono più di 75mila le richieste per il Rei. Uscire dalla crisi si può, ma solo costruendo tutti insieme alleanze sul territorio

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Attivo dal 1° dicembre 2017, il Rei viene erogato dal 1° gennaio di quest’anno. Le domande pervenute all’Inps fra il 1° dicembre 2017 e il 2 gennaio 2018 sono state 75.885 e il 27 gennaio sono partiti i primi pagamenti. Molti i volti della povertà e un’attuazione efficace di questa misura di contrasto richiede interventi armonizzati sui territori in una logica di integrazione e coordinamento. Se ne è parlato a Roma ad un seminario promosso dalla Caritas

La povertà costituisce ormai in Italia un dato stabile, strutturale, un’emergenza non più rinviabile e grazie al lungo e paziente lavoro svolto dall’Alleanza contro la povertà (cartello di oltre 30 sigle tra cui Acli, Caritas e Cisl), il nostro Paese può finalmente contare su una misura unica nazionale di contrasto a questa piaga: il Rei (Reddito di inclusione) introdotto dalla legge di contrasto alla povertà dello scorso 15 settembre, attivo dal 1° dicembre 2017 ed erogato dal 1° gennaio di quest’anno.

L’Inps informa che il 27 gennaio sono partiti i primi pagamenti, e che le domande pervenute fra il 1° dicembre 2017 e il 2 gennaio 2018 sono state 75.885. Ma il Rei non nasce dal nulla; succede al Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) – “misura ponte” tra i provvedimenti precedenti e il Rei – e lo supera. Per ora ne beneficeranno 1,8 milioni di poveri assoluti, il 38% dei 4,8 milioni certificati dall’Istat, circa 500 mila famiglie ma la legge di stabilità prevede a partire da luglio l’ampliamento della platea fino a 700 mila nuclei familiari. La sua attuazione costituisce una sfida. Se ne è parlato oggi, 30 gennaio, a Roma in un seminario di studio promosso dalla Caritas italiana e intitolato “Dal Sia al Rei. Per uscire tutti dalla crisi”.

“Ricostruire la speranza, ricucire il Paese, pacificare la società”. Riprende le tre azioni indicate alla Chiesa dal cardinale Bassetti nella prolusione dell’ultimo Consiglio permanente Cei, don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana. Ma precisa:

“Questo deve essere fatto a partire dai più poveri e insieme a tutti”.

Conoscenza, discernimento comunitario, capacità di “interrogarsi su come cambia il contesto e sulle sue domande”, la “ricetta” indicata dal direttore Caritas che invita a denunciare storture e malfunzionamenti e a “guardare i processi sul lungo periodo”. Per Nunzia De Capite (Caritas),

“in tre anni siamo passati dalla social card ad una misura a carattere universale. Oggi possiamo contare su uno stanziamento di un miliardo e 800 milioni, e si è creata una felice convergenza tra fondi nazionali e fondi europei, ma il Rei è ancora perfettibile”.

Dal questionario somministrato alle Caritas diocesane emerge che “occorre lavorare sull’informazione di beneficiari e soggetti territoriali, e occorre una formazione interna e trasversale dei nostri operatori”. “Non si può fare contrasto alla povertà – chiosa – se le nostre realtà e i nostri territori non lavorano tutti insieme”.

Sulla stessa linea Liliana Leone (Studio Cevas,): occorre “attivare le comunità locali” perché “la presa in carico di un beneficiario isolato dai sistemi sociali ha dimostrato dei limiti”. Importante inoltre il coinvolgimento e l’ascolto dei minori nella fase di presa in carico del nucleo familiare e del monitoraggio. E ancora: “Servono programmi locali di promozione culturale e progetti educativi per tutta la comunità”. Walter Nanni (Caritas italiana) e Vera Pellegrino (Caritas Trieste) illustrano il “Rapporto di valutazione sull’impatto del Sia nell’ambito delle strutture Caritas”, indagine condotta in Liguria, Toscana, Abruzzo, Molise, Sicilia. La sfida del Sia ed ora del Rei, spiegano, consiste nel “creare sistemi di intervento armonizzati sui territori, in cui ciascun attore sociale, continuando a ‘fare il proprio’, lo faccia in una logica di integrazione e coordinamento con tutti gli altri, ottimizzando le risorse all’interno di una regia istituzionalmente condivisa”. Occorre inoltre riuscire a sviluppare una presenza più significativa della Caritas nell’ambito dei processi di accompagnamento dei beneficiari.

Plaude all’ampliamento della platea dei beneficiari del Rei – dalle attuali 500 mila famiglie alla 700 mila previste a luglio – Lorenzo Lusignoli, del Dipartimento politiche sociali e sanitarie della Cisl, ma precisa che “l’obiettivo finale dell’Alleanza contro la povertà è il raggiungimento di tutti gli individui in povertà assoluta attraverso un piano pluriennale che preveda un incremento progressivo del fondo circa di altri 4,4 miliardi annui”.Il nucleo familiare richiedente deve avere un Isee non superiore ai 6.000 euro e un Isre non superiore a 3.000 euro. Il beneficio varia da un minimo di 187 euro ad un massimo di 539, ma secondo Lusignoli l’importo medio dovrebbe essere aumentato del 37%. Rispetto al Sia la soglia di accesso al Rei è più elevata, l’importo è calcolato non solo su base familiare ma anche reddituale, la misura dura 18 mesi anziché 12, i servizi all’inclusione “sembrano meglio esplicitati e potranno godere anche di un finanziamento strutturale annuale pari al 15% del Fondo povertà”: per Lusignoli, il Rei appare più “generoso”.

“Con riferimento al Rei, il nostro territorio è suddiviso in 600 ambiti sociali”, spiega Paola Casavola, del Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo la quale “occorre comprendere bene il funzionamento del sistema pubblico di welfare ma anche i suoi limiti”. E per l’integrazione territoriale “è importante parlare delle esperienze positive e costruirci intorno dei modelli esportabili”. La povertà, tuttavia, non è solo economica: ha anche il volto delle solitudini e della fragilità affettiva di molte famiglie, della ricerca senza esito di lavoro, della dispersione scolastica. Sfide che a conclusione dell’incontro Francesco Marsico (Caritas italiana) indica come prospettive di lavoro e sulle quali “tutte le nostre comunità, non solo la Caritas, dovrebbero fare un pensiero organico”. Ma preoccupa anche l’intolleranza causata dall’emarginazione e dalla paura degli immigrati: “segnale di una frattura in un Paese segnato dalla crisi e da ricostruire a partire dalle persone, curando le persone”. Per Marsico è certamente necessario ripensare la rete alimentare e dei centri d’ascolto, ma la vera sfida è “elaborare un’agenda pluriennale e trasversale per costruire territori solidali e democratici”.

Giovanna Pasqualin Traversa

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