Al secolo Carlo Pedersoli, giramondo, campione sportivo, personaggio amatissimo dai bambini, ha lavorato con registi del calibro di Monicelli, Risi e Visconti. Ma il suo volto resta quello degli spaghetti-western rivisitati in chiave comica e di “Piedone lo sbirro”.
La giustizia fatta in casa a suon di sberle e cazzotti in testa; l’appetito sempiterno acquietato con padellate di fagioli. Lo schierarsi dalla parte dei più deboli, fossero bambini soli, carovane di mormoni non violenti preda di banditi senza scrupoli, famiglie povere sulla strada per il West. Senza trascurare la difesa dell’ambiente e degli animali da predatori incalliti. Riusciva quasi sempre a schierarsi dalla parte giusta il Bud Spencer dello schermo, eroe buono e amatissimo dai bambini, scomparso ieri all’età di 86 anni.
Con Terence Hill ha costituito una coppia cinematografica conosciuta in tutto il mondo
fra spaghetti-western rivisitati in vena comica e altri film popolari, “di botteghino”, eppure non banali, mai volgari, sempre orientati a trasmettere un messaggio sorridente.
È il ritratto che emerge oggi nei ricordi dei famigliari, degli amici e colleghi di Carlo Pedersoli – il suo vero nome –, classe 1929, napoletano di nascita e romano d’adozione, giovane giramondo (prima di approdare al cinema vive e lavora, oltre che in Italia, in Sudamerica e negli Stati Uniti), campione di nuoto (recordmen italiano nei 100 stile libero, due partecipazioni alle Olimpiadi), compositore musicale. Una vita insieme alla moglie Maria Pia, 3 figli, 5 nipoti. Un nonno bonario che, ancora a ottant’anni, sbriciolava una mela con una mano sola.
Bud Spencer, tra gli artisti italiani più noti al mondo, è stato uno di quegli attori che vengono mentalmente associati a un partner: con Mario Girotti, in arte Terence Hill, ha girato dal 1967 in poi ben 18 film, 16 da coppia protagonista, restando per sempre, in una parola sola, BudSpencer&TerenceHill. Quelli che risolvevano i problemi con scazzottate epiche – rigorosamente senza sangue –, gare di birre e salsicce e strani bofonchiamenti da uomini duri. Chi non ha visto, o sentito parlare, di “Lo chiamavano Trinità”, “Continuavano a chiamarlo Trinità”, “Più forte ragazzi”, “Altrimenti ci arrabbiamo”, “Io sto con gli ippopotami”, “Chi trova un amico trova un tesoro”?
Pedersoli-Spencer non si è però esaurito lì: tra la sessantina di film cui ha lavorato, figurano le pellicole dirette da Carlo Lizzani, Mario Monicelli, Luchino Visconti, Dino Risi, Dario Argento, Ermanno Olmi. E poi i film da protagonista, senza Terence Hill (amico anche nella vita), come la serie di Piedone e, ancora, le serie televisive.
Bud Spencer è stato, come amava dire, un “personaggio” prima che un attore.
Una figura carica di simpatia e di eccessi (a partire dalla mole fisica) senza per questo eccedere né andare sopra le righe. Si era posto, a suo modo, e con un filo di filosofia partenopea, le domande sul valore della vita, sul senso della morte, sull’aldilà, dove sperava ci fosse “un’altra vita”, altrimenti “è una fregatura”. Un uomo che ha più volte ribadito, tra autobiografia (“Altrimenti mi arrabbio: la mia vita”) e interviste, che il successo non è facile da raggiungere e che è una “conquista fragile”, che nella vita servono il coraggio e il sacrificio (appresi dallo sport). E che giocosa umiltà e autoironia possono essere una via efficace per lasciar intuire la propria statura umana e il proprio valore.
Gianni Borsa