Mafia capitale / Il direttore della Caritas romana: “Traditori come Giuda i cristiani coinvolti”

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Durissima la reazione di monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas romana: “Qualunque persona abbia utilizzato soldi pubblici per fini personali, da qualunque parte stia, si dichiari cristiano o non cristiano, ha fatto del male”. Il rischio che a pagare siano ancora i poveri. Le reazioni di Libera e Sant’Egidio.cristiani coinvolti

Una brutta storia che getta fango sulla città di Roma. Una storia sporca perché intrisa non solo di soldi illeciti ma di mazzette e conti in banca all’estero guadagnati lucrando sulle sofferenze dei poveri e degli immigrati. I numeri della seconda “puntata” dell’inchiesta su Mafia Capitale sono da capogiro: 428 le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Flavia Costantini. Una indagine fiume che apre le porte del carcere a 44 persone tra consiglieri comunali e regionali, funzionari pubblici, manager delle cooperative del Terzo Settore. Nel fango giudiziario finiscono anche alcuni esponenti della cooperativa “bianca” La Cascina, vicina a Comunione e Liberazione. È la mafia di Roma capitale che serpeggia ovunque sopra, sotto, di mezzo. “Ci stiamo mangiando Roma”. È una delle tante frase choc che capeggiano sui giornali. Frasi intercettate dalle forze di polizia, pronunciate in stretto accento romano ma dal significato inequivocabile. Al centro dell’inchiesta Salvatore Buzzi il Grande Elemosiniere e Mafioso della “Cooperativa 29 giugno”. “‘A sai la metafora no? Se vuoi mungere la mucca, la mucca deve mangiare. E l’avete munta tanto. Tanto…”.

Ferma, anzi fermissima, la condanna dei vescovi italiani. A prendere la parola è monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, al Tg2000. “Questa gente – dice – vede negli immigrati solo povera gente da sfruttare, numeri su cui lucrare e con cui fare i propri comodi, e questo non è solo peccato, è 50mila volte più peccato, ma è anche un gesto d’inciviltà, anzi, questa è prima di tutto inciviltà”. L’associazione Libera parla di “un sistema di collusione e corruzione inquietante, che ha varcato ogni limite e ha rivelato ciò che tutti sanno da tempo: un sistema che ha potuto esistere e consolidarsi solo nella commistione forte con la politica”. Anche Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, punta il dito sulla commistione “corruzione e politica” e ribadisce la necessità che “le nostre istituzioni, le nostre forze politiche e anche le associazioni che lavorano in questo campo, chiedano scusa ai migranti e ai rom per ciò che è accaduto”. Dall’inchiesta su Mafia capitale emerge chiara l’urgenza di lavorare per una rapida integrazione degli immigrati. “Ci sono molti passi che si possono fare – incalza Impagliazzo – ma queste inchieste stanno mettendo in luce quanto sia mancata una volontà di risoluzione dei problemi ed evidenziano quanto queste persone e le loro sofferenze siano state invece utilizzate per arricchimento personale o a fini politici”.

“Dolore” viene espresso dalla Caritas di Roma che chiede però alla gente che legge i giornali e guarda la tv di fare “la differenza”. “C’è una forza grande di bene che attraversa Roma. È invisibile. Ma è l’anello portante della nostra città”, afferma il direttore della Caritas romana monsignor Enrico Feroci. Le sue parole si riempiono delle storie che vedono protagonisti anonimi “i tanti volontari, che si dedicano al servizio degli altri, che puliscono le piaghe più purulente degli ultimi, che si mettono in ginocchio davanti al povero e lo curano”. L’errore oggi sarebbe quello di generalizzare e gettare un’ombra di sospetto su quanto di bene si sta facendo in città proprio a fianco degli ultimi. E invece, confida monsignor Feroci, “siamo visti come coloro che allo stesso modo stanno facendo interessi sulla pelle dei poveri. E questo è deleterio. Ma non tanto per me o per noi perché la nostra coscienza ci dice quello che siamo. Mi dispiace che il nostro servizio vero e autentico per i poveri venga colpito”.

La pagina più dolorosa è che nell’inchiesta romana sono finite anche le cosiddette cooperative “bianche”, quelle cioè legate al mondo cattolico. “Vicino a Gesù – confida Feroci – c’era un apostolo che lo ha tradito. Quindi il problema del peccato è insito dentro di noi. Non perché uno si dice cristiano o perché le cooperative si dicono ‘bianchè, significhi che siano esenti dal peccato. Qualunque persona abbia utilizzato soldi pubblici per fini personali, da qualunque parte stia, si dichiari cristiano o non cristiano, ha fatto del male. Ma se uno dice di essere discepolo di Cristo è come Pietro che tradisce Cristo e come Giuda che se lo vende”. “C’è dunque un malessere – prosegue il direttore di Caritas Roma – che non è più solo di natura economica e non si risolve né con le leggi né con l’impiego delle forze dell’ordine. Credo che dovremo avere tutti, nessuno escluso, un sussulto di onestà. E coi come Chiesa dovremmo essere testimoni di verità, di giustizia, di amore e solidarietà. Se non c’è questo sussulto, le leggi e le inchieste potranno fare molto poco”.

Maria Chiara Biagioni

 

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