Cosa Nostra, oggi più che mai, si costituisce come azienda. Ma come, esattamente? La mafia è ancora tra noi? Perché, ormai da molti anni, non sentiamo parlare di stragi su larga scala, causate dai mafiosi? Sembra sia passata molta acqua sotto i ponti dai tristemente noti anni delle stragi, consumate in Italia negli ultimi due decenni del secolo scorso. Gli attentati, architettati da Cosa Nostra, erano diretti a tutti i funzionari dello Stato che avevano “osato” sfidare la mafia. Non basterebbe certo un articolo per elencare i nomi di tutte le vittime di questa barbarie, messa in atto da individui che non possono nemmeno essere definiti “uomini”: sarebbe troppo generoso.
Tra i più noti ed eclatanti attentati, si ricordano quello nei confronti del generale dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato in una sparatoria a Palermo il 3 settembre 1982, insieme alla moglie e l’agente di scorta; le stragi di Capaci e via d’Amelio, in cui persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino, insieme ai propri agenti di scorta e alla moglie di Falcone stessa, il 23 maggio e il 19 luglio 1992. Gli attentati cessarono in virtù di una ancora nebulosa trattativa Stato-Mafia, che ancora oggi si tenta tanto di indagare quanto di insabbiare. C’è addirittura chi ne nega l’esistenza. In sostanza, alcuni esponenti delle Istituzioni dello Stato italiano avrebbero contrattato con i rappresentanti dell’associazione mafiosa per far cessare le stragi. Fornendo in cambio alcuni favori a Cosa nostra, tra cui, per esempio, la rimozione della pena del 41-bis (carcere duro) per 334 mafiosi.
La verità su Cosa Nostra che si è fatta azienda: il cambiamento della mafia
La mafia oggi esiste eccome, ma ha cambiato forma. Il periodo delle stragi è ormai alle spalle, il fenomeno della mafia militare si è fortemente ridimensionato. Con il passare degli anni, la mafia “rurale”, che chiede il pizzo e minaccia con la forza, ha ceduto il posto ad una vera e propria azienda, tanto da essere definita, nel suo libro, dal magistrato e membro del C.S.M., Sebastiano Ardita, Cosa Nostra S.P.A (Società per azioni). Il flusso di denaro messo in moto dalle associazioni mafiose ammonta a decine di milioni di euro. Dalle infiltrazioni negli appalti pubblici a quelle sullo smaltimento dei rifiuti. Ma si potrebbero fare tantissimi altri esempi di come la mafia sia cresciuta e maturata, diventando una vera e propria impresa in concorrenza con tutti gli altri enti pubblici ed economici.
La mafia produce sottosviluppo, perché sottrae risorse e scoraggia la concorrenza. Come scrive sul suo libro il magistrato Ardita: “Affamata di denaro e potere, la mafia si è fatta essa stessa imprenditrice. Esiste una classe di imprenditori che non si fa scrupolo di andare oggi in accordi, domani in conflitto con uomini e imprese, che sono diretta espressione di Cosa nostra. La mafia entra in concorrenza con le imprese sul terreno dei rapporti con la politica per ottenere favori. Compete con istituzioni distratte o corrotte nel farsi carico dell’impatto socioeconomico connesso alle proprie iniziative. Il tutto senza sparare nessun colpo di pistola”.
Falsa Antimafia, il giudizio di Ardita
Il primo risultato della falsa antimafia è quello di produrre una sorta di prevenzione speciale che opera a rovescio rispetto alle indagini: come si fa a definire mafiosi i colletti bianchi che si sono impegnati contro la mafia? Un secondo effetto della strategia della falsa antimafia, invece, consiste nell’accentuare l’attenzione su fenomeni di mafia militare, o su quelle modalità di azione di cosa nostra (come il pizzo), che appaiono distanti dalla mafia “che si è fatta impresa”. In modo che la pubblica opinione colleghi sempre l’espressione mafia a un fatto violento o alla sua minaccia: estorsioni, 41 bis, al latitante Matteo Messina Denaro. Un fenomeno di distrazione di massa rispetto alla nuova mafia, che si nutre proprio del rapporto con il potere economico e politico.
Non serve il giudizio dei tribunali, continua Ardita, ma basta analizzare gli eventi per prendere coscienza di questo mondo capovolto. Se su tutto ciò si aprisse una seria riflessione, ci sarebbe materia per rivoluzionare l’economia, la politica e l’amministrazione di questo nostro territorio. Invece si fa dipendere tutto, anche il giudizio sull’operato di politici e imprenditori, da una sentenza che riconosca le responsabilità o meno per un reato. E dunque condannato o assolto equivale a dannato o santo. Come se i fatti non contassero nulla, i tribunali, da luoghi di giustizia, vengono così trasformati in “produttori di alibi”.
Michele Garro