La mafia in Sicilia è un fenomeno presente da circa un secolo, tanto quanto presenti sono sempre stati coloro che hanno provato a contrastarla. Una parte di questi ha pagato con la vita l’intraprendenza per amore della legalità, ma alcuni sono riusciti a sopravvivere e forse persino avvicinarsi ad annientarla, come nel caso di Cesare Mori. Parliamo di una figura ribattezzata per la sua lotta contro Cosa Nostra con l’appellativo di “prefetto di ferro”. Cesare Mori nasce orfano il 22 dicembre 1871 a Pavia trascorrendo l’infanzia in un brefotrofio fino a quando viene riconosciuto dai genitori nell’ottobre del 1879. In seguito frequenta gli studi presso l’Accademia Militare di Torino e successivamente otterrà il grado di tenente a Taranto nel 1895 iniziando così la sua carriera. Qui Mori conosce Angelina Salvi. Per sposarla si dimette, poiché lei non disponeva di una dote.
Ma la sua carriera riprende nel 1898 a Ravenna nelle forze dell’ordine. Successivamente viene trasferito a Castelvetrano e infine a Trapani, nel 1907. Qui Mori si distingue facendo esperienza contro il brigantaggio, creandosi una fama formidabile grazie ai numerosi arresti e ai fallimentari attentati che subisce. Viene promosso vice questore a Firenze, per poi spostarsi a riprendere la lotta contro il brigantaggio lo stesso anno a Caltabellotta. In seguito verrà ancora trasferito tra Torino, Roma e infine Bologna, città dove si oppone allo squadrismo fascista. A causa di ciò, verrà notato negativamente dal governo. La sua carriera sarebbe dovuta finire con un trasferimento a Bari e infine con l’entrata in pensione anticipata a Firenze, nel 1922.
Mafia in Sicilia / Chi ha provato a contrastarla: Cesare Mori
Nel maggio del 1924, Mussolini fa un viaggio in Sicilia apprendendo con facilità la realtà in cui versa l’isola. Oltre che povera, sotto un sommerso controllo criminale mafioso.
Per quanto avessero ottenuto pure in Sicilia una schiacciante vittoria elettorale, “i fasci” nell’isola erano pochi, giovani, deboli. Lo squadrismo era arrivato solo di facciata e soprattutto lo stato non sembrava avere mai avuto alcun controllo nell’isola. Perciò Mussolini, nello stesso mese, convocò vari funzionari che alla fine gli proposero Cesare Mori, nella speranza che avrebbe mostrato la sua esperienza e forza come aveva fatto contro i fasci di Bologna.
Così Mori viene inviato in qualità di prefetto a Trapani lo stesso mese, ma con una differenza fondamentale rispetto al passato. Aveva carta bianca contro la mafia. Per prima cosa controllò rigorosamente moltissime delle licenze normalmente gestite dai mafiosi, venendo promosso nel 1925 prefetto di Palermo. Con i nuovi poteri organizza efficaci operazioni, come il famoso assedio di Gangi, “depurando” vari paesi della Sicilia Orientale. Come risultato, avvennero molti arresti che videro catturare vari mafiosi tra cui Vito Cascio di Ferro, esponente di interconnessione tra mafia siciliana e americana.
Diminuirono inoltre drasticamente omicidi e crimini nell’isola. Ma la sua azione non si fermò solo alle campagne. Proseguì oltre, nel tentativo di creare un clima ostile alla mafia tramite perquisizioni e revoche. Imponendo il controllo dello stato nelle zone liberate e infine colpendo pure le amministrazioni dove si era infiltrata. Accadde nel 1927 con Alfredo Cucco, accusato di essere colluso con la mafia, causando lo scioglimento del fascio di Palermo.
Mafia in Sicilia / L’apparente sconfitta della mafia e le dimissioni di Cesare Mori
Mori diventò presto una figura scomoda e, nonostante i successi, la lotta alla mafia terminò nel 1929, quando Mori venne misteriosamente dimesso da prefetto. Successivamente la mafia venne dichiarata sconfitta dal fascismo, censurando qualsiasi cosa ne parlasse come ancora esistente. In realtà quest’ultima si era semplicemente nascosta, spaventata dalle azioni fasciste o fuggita negli Stati Uniti, dove in futuro troverà modo di vendicarsi collaborando allo sbarco in Sicilia e tornando, evidentemente, ancora più forte di prima.
Mori invece continuò, anche se limitatamente, la lotta antimafia all’interno del parlamento, venendo però infine clamorosamente rimproverato nel 1930 per “aver nominato una vergogna” che non esisteva più. Nel 1932 scrisse le sue memorie, “la mafia ai ferri corti”, e successivamente gestì alcuni consorzi a Udine fino alla morte, avvenuta naturalmente il 5 luglio 1942, poco dopo la scomparsa della moglie.
Emanuele Giuseppe Russo