Medio Oriente / Papa Francesco: “Terza guerra mondiale” fatta a pezzi. L’impegno della Caritas per le vittime

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Profughi e sfollati in Iraq
Convocata da Caritas internationalis una riunione d’urgenza sull’emergenza in Medio Oriente, in via straordinaria, dal 15 al 17 settembre a Roma. Vi parteciperanno tutte le Caritas coinvolte in quella che Papa Francesco chiama “la Terza guerra mondiale. Ma fatta a pezzi, a capitoli”. Già impegnati 6 milioni di euro per aiuti umanitari, ma le necessità continuano drammaticamente a crescere.
Profughi e sfollati in Iraq
Profughi e sfollati in Iraq

Oltre 6 milioni di euro (9 milioni di dollari) per aiuti umanitari – cibo, acqua, servizi sanitari e igienici, alloggi, scuole – alle popolazioni colpite dai conflitti in Siria, in Iraq, a Gaza, in Kurdistan, e ai 3/4 milioni di rifugiati siriani in Giordania, Libano, Turchia. È l’impegno economico intrapreso finora dalla rete internazionale delle Caritas, in stato di allerta per l’inasprirsi delle tensioni in tutta l’area. Si prevede, infatti, un forte aumento delle cifre per il 2014-2015. Nella sola Siria vi sono 4-5 milioni di sfollati interni, 200mila morti e un numero di vittime che non accenna a diminuire: anche se i media non ne parlano più, secondo l’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) nel mese di luglio sono state uccise 5mila persone. L’Iraq, che aveva accolto 218.040 rifugiati siriani, ha ora almeno 1.200.000/1.500.000 di sfollati interni. Una riunione d’urgenza sull’emergenza in Medio Oriente è stata convocata da Caritas internationalis, in via straordinaria, dal 15 al 17 settembre a Roma. Vi parteciperanno tutte le Caritas coinvolte in quella che Papa Francesco chiama “la Terza guerra mondiale. Ma fatta a pezzi, a capitoli. Il mondo è in guerra dappertutto”. Caritas italiana, impegnata nell’area con 550mila euro, ha ricevuto dalla Cei un milione di euro da suddividere fra tutti i Paesi.

Pronti per una risposta umanitaria più ampia. “Faremo una analisi della situazione – spiega al Sir Paolo Beccegato, vice direttore di Caritas italiana e responsabile dell’area internazionale – per capire come migliorare il nostro intervento complessivo. Ci stiamo attrezzando per una risposta più ampia, anche perché il livello di rischio si sta alzando ovunque. Nei singoli Paesi alcune Caritas si trovano in grande difficoltà a causa del grande numero di rifugiati, che rischia di mettere in crisi la coesione sociale. Non si tratta solo di fare un intervento umanitario ma di integrarlo con politiche sociali. Perché quando si superano certi livelli, come sta accadendo in Giordania e Libano, si possono generare dinamiche molto pericolose. C’è poi il rischio terrorismo, anche nei Paesi occidentali, per cui la questione va affrontata sotto diversi punti di vista”. La Caritas teme che “insistere solo sull’intervento militare e sulla fornitura di armi non farà altro che inasprire la situazione. Bisogna cambiare registro e adottare un approccio più complesso, con una forte iniziativa internazionale che miri alla riconciliazione”.
L’emergenza Siria. In Siria la rete Caritas si occupa dal 2011 di circa 60mila persone sfollate, in sei sedi regionali (Homs, Aleppo Damasco, Hassaké, Litorale e Dara) che però variano nel corso del tempo. Questo vuol dire che i beneficiati sono almeno il doppio. Da tempo non si hanno notizie sulla piccola Caritas di Hassaké, nella Siria del nord, si spera sia dovuto solo a problemi di comunicazione. Il budget previsto per gli aiuti nel 2014 è di 3.548.100 dollari, con programmi di distribuzione cibo, sanitari, educazione scolastica, alloggi, anziani. In Libano sono stati registrati 1.147.584 siriani registrati (su una popolazione di 4 milioni di abitanti), più 100mila palestinesi fuggiti dalla Siria. Si teme che a fine anno si arriverà a 1.500.000 rifugiati registrati. Caritas Libano si occupa di 216mila persone (di cui oltre 60mila bambini). Il budget da settembre 2013 ad agosto 2014 è stato di 2.747. 028 dollari. In Giordania vi sono 609.692 siriani registrati e 350mila iracheni fuggiti in seguito alla guerra del 2003. La necessità finanziaria è di 1.532.501 dollari. Caritas Giordania aiuta 394.170 persone (anche con altri fondi, statali e istituzionali). “Tra i rifugiati – racconta Silvio Tessari, responsabile dell’ufficio Medio Oriente e Nord Africa di Caritas italiana -, sono stati riscontrati di recente anche un centinaio di casi di tubercolosi, difficile da curare senza strutture adeguate. Si teme la diffusione”. In Libano, Giordania e Turchia (da dove arriverà a breve un appello per i rifugiati) si distribuiscono aiuti di prima necessità (cibo, acqua, medicine, alloggi, cure psicologiche per anziani e bambini).
Dall’Iraq alla Libia. L’Iraq, che aveva ricevuto finora 218.040 siriani, ora ha almeno 1.200.000/1.500.000 di sfollati interni, tra cui le minoranze cristiane e yazidi perseguitate dall’Is, lo Stato islamico. Caritas Iraq, che per la prima volta è stata costretta a chiudere tre sedi e a trasferire il suo staff a Erbil, si occupa di 5.400 famiglie, circa 30mila persone, in maggior parte nel Kurdistan, dove ha concentrato le sue attività e fornisce aiuti di prima emergenza. Proprio in questi giorni sono arrivate le prime forniture di tende agli sfollati. Il budget dell’attuale programma è di 1.240.000 dollari. Da Gaza è giunto invece un recente appello di 1.200.000 dollari per viveri, medicinali, carburante per ospedali (elettricità). Caritas italiana ha dato a Gaza 100mila euro. Dalla Libia è giunta oggi in Caritas una lettera dall’arcidiocesi di Tripoli che racconta una situazione di assedio. “Sono chiusi in casa senza acqua, petrolio, gas – riferisce Tessari -. Sono partite anche le suore infermiere filippine. Tutte le ambasciate hanno chiuso, tranne quella italiana. Il momento è tragico e potrebbe peggiorare”. “Da 50 anni mi occupo di questa regione del mondo – afferma – e non mi è mai capitato di vedere tante tensioni tutte insieme in così poco tempo. C’è una sensazione di impotenza e incapacità di comprendere costa sta succedendo. Certo non si può pensare di risolvere una realtà così complessa con un intervento militare: usando una metafora forte, è come pensare di uccidere un singolo bandito sperando che poi spariscano magicamente le migliaia che sono in giro”.
Patrizia Caiffa
(Fonte: AgenSIR)
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