Megaupolad, una vicenda lontana dalla conclusione

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È guerra di avvocati, sequestri, ordinanze, conferenze stampa: a due mesi dalla chiusura, eseguita dal Dipartimento di giustizia statunitense e dalla polizia federale, del più popolare sito web di file hosting e streaming, l’affaire Megaupload è ben lontano dal volgere al termine. L’ultima battaglia, dopo l’ottenimento degli arresti domiciliari da parte di Kim Schimtz (il fondatore) e dei manager finiti con le manette ai polsi il 19 gennaio scorso, si consuma in questi giorni attorno allo sterminato archivio di file conservati nei server posti sotto sequestro.

L’operazione della Federal Bureau of Investigation (Fbi) è di quelle senza precedenti. I 20 mandati di perquisizione in 9 differenti Paesi hanno portato al sequestro di oltre 50 milioni di dollari: secondo l’accusa, Megaupload non è solo un sito internet, ma un sistema volto a sfruttare la pirateria on-line per generare ricchi guadagni. Per bloccare la “Mega Conspiracy”, come è definita nelle oltre 72 pagine degli atti, è scattato un vero e proprio blitz internazionale, degno delle migliori operazioni di antiterrorismo o antimafia. Sono finiti in manette Schimtz e altri 7 manager accusati di aver guadagnato oltre 175 milioni di dollari attraverso l’attività illecita e di aver causato un danno ai detentori dei diritti d’autore non inferiore ai 500 milioni di dollari. Il sistema Megaupload, però, non si fermava alla pirateria: in Virginia, Megaupload e Vestor, un società collegata, sono accusati anche di tentata estorsione e riciclaggio di denaro, reati puniti dalla giustizia statunitense con 20 anni di carcere. I profitti generati dal sito danno una misura della vastità delle attività poste in essere dal gruppo. Una vastità confermata anche dal materiale posto sotto sequestro dalla Fbi: 18 nomi di dominio e 525 server installati in Virginia, che si aggiungono ai 630 ospitati dalla società olandese LeaseWeb e a quelli forniti dall’americana Cogent in Francia. Secondo Ira Rothken, avvocato molto noto per aver difeso i gestori di numerose piattaforme accusate di violazione del copyright e che ha assunto la difesa di Megaupload, le forze federali Usa hanno calcato troppo la mano, utilizzando una procedura troppo “aggressiva” contro la quale è pronto a battersi.

Certamente Kim Schimtz, noto anche con gli alias Kimble o Kim Dotcom, e il suo portale sono due veri e propri fenomeni della Rete. Erano almeno 45 milioni i visitatori annuali di Megaupload, capaci di generare il 7% del traffico internet mondiale con oltre 440 milioni di pagine caricate, secondo le stime di Google AdPlanner. Numeri impressionanti per il sito di Kim Dotcom, anche lui, d’altronde, abituato a essere un personaggio fuori dalle righe. Approdato nel mondo della Rete nel 1996, quando dopo aver hackerato Deutsche Telekom è stato assunto dalla stessa come esperto di sicurezza, Dotcom balza agli onori delle cronache pochi anni dopo quando, con un’operazione di insider trading su LetsBuyIt.com, si assicura 1,2 milioni di dollari di guadagni. Il caso LetsBuyIt.com è solo il primo di una lunga lista di episodi che vedono Schimtz come protagonista.

Ora occorre stabilire cosa farne dell’immenso archivio posto sotto sequestro: una quantità stimata di 28 petabyte di file; per avere una misura si stima che un solo petabyte è equivalente ad oltre 13 anni di video in alta definizione o a 50 volte l’intero patrimonio culturale della U.S. Library of Congress. La Carpathia Hosting, la società di Hong Kong nei cui server sono conservati i dati, ne vorrebbe la cancellazione per evitare di continuare a sopportare gli ingenti costi di gestione (circa 9 mila dollari al giorno); ma la disputa è ancora lontana dalla definizione. I vertici di Megaupload stanno cercando di trovare un accordo con il Department of Justice per ottenere la restituzione agli utenti dei file personali caricati sulla piattaforma e la Motion Picture Association of America ha chiesto formalmente di trattenere i contenuti per la possibilità di “ulteriori citazioni nel futuro”.

Antonio Rita

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