Memoria antimafia / Don Peppe Diana, il prete ucciso dalla mafia campana cui si opponeva

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Don Peppe Diana fu un sacerdote che di fatto combatté, per amore della sua gente, contro la mafia campana, che lo assassinò. La sua storia ricorda per più aspetti quella di don Pino Puglisi, morto appena un anno prima a Palermo: ucciso da Cosa Nostra per la sua azione pastorale, di fatto indirettamente antimafia. Nel corso degli anni in molti cercarono di screditare la sua immagine. Eppure, è anche grazie a don Peppe Diana che la gente ora ha più coraggio di ribellarsi alla mafia.

Don Peppe Diana / La storia del sacerdote

Giuseppe Diana, conosciuto come Peppe o Peppino, nacque a Casal di Principe in provincia di Caserta il 4 luglio 1958. Ad Aversa iniziò i suoi studi e successivamente iniziò il seminario a Posillipo presso la sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Fu ordinato sacerdote nel 1982 dopo che si laureò in Filosofia all’Università Federico II di Napoli. Inoltre, nel 1978 entrò nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) dove divenne caporeparto. Il 19 settembre 1989 gli assegnarono la parrocchia di San Nicola di Bari a Casal di Principe, ma nel frattempo aveva iniziato a insegnare materie letterarie e religione cattolica in un liceo, in un istituto tecnico industriale statale e in un istituto alberghiero.

Don Peppe Diana / La lotta con la camorradon peppe diana mafia

In quegli stessi anni don Peppe iniziò la sua battaglia contro la camorra. In quella zona i clan casalesi controllavano gran parte dei traffici illeciti e molti giovani si riunivano nei loro ranghi. E proprio nei giovani va l’attenzione del sacerdote che, come don Pino Puglisi, si era posto come obiettivo l’allontanare questi ragazzi dalla camorra. Lo fece in primo luogo con gli Scout e aprendo la parrocchia a tutti gli sfruttati e le vittime della prostituzione. Come ha scritto Saviano nel suo best-seller “Gomorra”, “Don Peppino non voleva fare il prete che accompagna le bare dei ragazzi soldato massacrati dicendo ‘fatevi coraggio’ alle madri in nero”.

Partecipò a manifestazioni e organizzò tour nelle scuole in cui predicava la lotta alla camorra. Finché nel 1991, insieme ad altri parroci, elaborò il documento “Per amore del mio popolo”, e lo distribuì nella notte di Natale. Si trattava di una lettera di sole 4 pagine in cui manifestava l’impegno contro la criminalità organizzata e la preoccupazione per le famiglie dei ragazzi vittime della camorra. Inoltre, definì la camorra come una forma di terrorismo che impone le proprie leggi e incute paura tramite regole inaccettabili e armi pericolose.

Don Peppe Diana / L’omicidio

Era il giorno del suo onomastico, quando alle 7.20 del 19 marzo 1994 don Peppe venne assassinato. Era appena uscito dalla sacrestia della chiesa poco prima di celebrare la Santa Messa. Il killer si avvicinò a lui e gli chiese “Chi è Don Peppe?”. Questi, appena rispose, fu colpito da 5 colpi di pistola. La sua morte fece scalpore in tutta Italia e anche l’allora Pontefice Giovanni Paolo II lo ricordò nell’Angelus del giorno dopo, dicendo:

“Sento il bisogno di esprimere ancora una volta il vivo dolore in me suscitato dalla notizia dell’uccisione di don Giuseppe Diana, parroco della diocesi di Aversa, colpito da spietati assassini mentre si preparava a celebrare la santa messa. Nel deplorare questo nuovo efferato crimine, vi invito a unirvi a me nella preghiera di suffragio per l’anima del generoso sacerdote, impegnato nel servizio pastorale alla sua gente. Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra, produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace. Don Giuseppe Diana ha condiviso con il sangue il sacrificio di Cristo Redentore”.

Don Peppe Diana / Il processo

Fu fondamentale la testimonianza di Augusto di Meo, amico del sacerdote. Egli stava entrando in parrocchia per offrire all’amico la colazione per festeggiare il suo onomastico. Riuscì quindi a vedere bene in volto il killer Giuseppe Quadrano. Il movente resta tuttora incerto, ma la matrice mafiosa è chiara. Come successe ad altre vittime delle mafie, in molti cercarono di infangare il suo nome attraverso depistaggi e false accuse. Lo accusarono di essere un noto frequentatore di prostitute, pedofilo e inoltre di far parte lui stesso dei clan. Eclatante l’accusa di alcuni giornalisti del Corriere di Caserta in cui pubblicarono in prima pagina: “Don Diana era un camorrista” e “Don Diana a letto con due donne”. Queste e altre azioni contro il sacerdote vennero successivamente definite “macchina del fango”.

Nel corso del processo venne fuori il nome del boss Nunzio De Falco come mandante dell’omicidio. In un primo momento egli tentò di accusare il clan rivale degli Schiavone. Tuttavia, grazie alla testimonianza di Giuseppe Quadrano, esecutore materiale dell’omicidio, De Falco venne condannato all’ergastolo il 30 gennaio 2003. Quadrano invece, fu condannato a 14 anni di reclusione il 4 marzo 2004, poiché divenuto collaboratore di giustizia. Inoltre, lo stesso giorno condannarono all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti per aver ricoperto un ruolo nella pianificazione e nella commissione dell’omicidio.

Don Peppe Diana / La memoria

Nonostante le diffamazioni, la sua memoria non scomparve. Lo Stato ha conferito a Diana la medaglia d’oro al valore civile il 19 ottobre 1994 per essere stato “in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari”. Inoltre, il 25 aprile 2006 nacque il Comitato Don Peppe Diana a Casal di Principe. Nel 2014 RaiUno trasmise la miniserie “Per amore del mio popolo” ispirata alla vita di don Peppe, interpretato dall’attore Alessandro Preziosi. Sempre RaiStoria dedicò un documentato intitolato “Non tacerò, la storia di don Peppe Diana”. Il messaggio di Don Peppe vive e, purtroppo per la camorra, non lascerà mai in pace sfruttatori e mafiosi.

Milena Landriscina

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