Uno dei misteri irrisolti più famosi della storia italiana è sicuramente quello dell’omicidio del collega giornalista Mino Pecorelli. Giornalista d’inchiesta, era noto per i suoi pezzi provocatori, nei quali accusava importanti uomini della politica e della malavita italiana. Pecorelli si era costruito una cerchia di informatori che gli permetteva di scrivere i suoi pezzi prima dei suoi colleghi. Tuttavia, anche per questo motivo, spesso lo accusarono di essere stato un ricattatore. Fu ucciso vicino alla sede del suo settimanale Osservatore Politico, ritrovato nella sua auto il 20 marzo del 1979. Sono dunque trascorsi ormai ben 44 anni, ma ancora non si è scoperto né il vero motivo e né il mandante dell’omicidio. O forse, più probabilmente, qualcuno preferisce ancora insabbiarlo.
Mino Pecorelli / La vita
Mino Pecorelli, all’anagrafe Carmine Pecorelli, nacque a Sessano del Molise il 14 giugno 1928. Nel 1944, appena sedicenne, si arruolò nel Corpo polacco in quel periodo attivo nella sua zona durante la Seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto, si laureò in giurisprudenza all’Università di Palermo e lavorò per anni come avvocato specializzato in diritto fallimentare. In quegli anni divenne assistente di Egidio Carenini, vicesegretario amministrativo della Democrazia Cristiana. Nel 1967 decise di dedicarsi al giornalismo lavorando per il periodico Nuovo Mondo d’Oggi, rivista che si focalizzava su scoop negli ambienti politici. Dovette però abbandonare quando l’Ufficio affari riservati del Ministero dell’interno fece chiudere la rivista: era il 2 ottobre 1968. Il suo interesse per il giornalismo lo portò tuttavia a proseguire la carriera da solo. Fondò quindi una propria testata intitolata Osservatore Politico, abbreviata in OP. Attraverso le sue pagine, Pecorelli trattava nuovamente di politica, focalizzandosi sugli scandali degli uomini al potere dell’Italia.
Mino Pecorelli / Osservatore Politico e il suo ruolo da giornalista
Pecorelli era un giornalista esperto e ben documentato, che trattava sui casi più disparati grazie alla sua cerchia di informatori. Con l’OP, prima fondato come agenzia di stampa e successivamente divenuto settimanale, pubblicò articoli caratterizzati da frasi criptiche, per informare ma, soprattutto, per fa sì che chi deve capire, capisse. Si occupò di casi di cronaca importantissimi per la storia della politica italiana. Tra di essi lo Scandalo Lockheed del ’75-76 che finì con l’arresto dei ministri Gui e Tanassi e le dimissioni dell’allora presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Inoltre, si occupò dello Scandalo dei Petroli, durante la quale si scambiarono armi per la Libia di Gheddafi in cambio del suo oro nero. Il suo caso più importante, però, fu quello riguardante il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro che sconvolse l’Italia nel 1978.
Mino Pecorelli / Osservatore Politico e il caso Moro
Gli avvenimenti riguardanti la scomparsa di Aldo Moro coincidono con il passaggio dell’OP da agenzia di stampa a settimanale. Pecorelli coglie questa opportunità per parlare più volte del caso. Il giornalista sapeva molto su Aldo Moro, arrivando addirittura a prevederne il rapimento: aveva già annunciato che il 15 marzo 1978 sarebbe successo qualcosa di grave. Sbagliò solamente un giorno, dato che le Brigate Rosse sequestrarono Moro l’indomani. Tra le sue pubblicazioni si menzionano nomi importanti come il generale Dalla Chiesa e Cossiga. Tuttavia, i pezzi più importanti del caso saranno quello dedicati al Memoriale n.7 di Aldo Moro (nella foto) nei numeri 27, 28 e 29 di OP. Al riguardo, scrive:
“Non credo all’autenticità del memoriale, o alla sua integrità, e alle banalità che sono state riportate alla luce. Moro non può aver detto quelle cose e solo quelle cose arcinote; non era stupido, dicendo solo quelle cose, sapeva che non sarebbe uscito vivo dalla prigione. Quindi c’è dell’altro. Così ora sappiamo che ci sono memoriali falsi e memoriali veri. Questo qui diffuso è anche mal confezionato”.
La ricerca della verità lo porterà a incontrare persone importanti come l’ex capo dell’Ufficio Affari Riservati, Federico d’Amato, il PM Luciano Infelici, Angelo Casentino. In un numero dell’OP di gennaio del 1979 annuncia la pubblicazione di nuove rivelazioni sul delitto Moro, ma non riuscirà mai a farlo, venendo assassinato due mesi dopo. Resta forte il sospetto: per qualcosa che avrebbe potuto dire.
Mino Pecorelli / Gli avversari politici del giornalista
Pecorelli più volte torna a parlare di politici in modo particolare. Il più attaccato nei suoi pezzi è sicuramente Giulio Andreotti, accusato successivamente di essere il mandante dell’omicidio di Pecorelli. Si ritiene che Pecorelli lo avesse ricattato più volte, minacciandolo di pubblicare dei documenti collegati all’omicidio di Moro. Altro grande protagonista fu il venerabile Gran Maestro Licio Gelli della Loggia Massonica Coperta Propaganda 2 (abbreviata in P2): anche se Pecorelli risultava iscritto alla loggia, la sua apparve più una infiltrazione che durò circa cinque mesi. Durante questo periodo raccolse informazioni su Gelli e altri membri della Loggia, della quale facevano parte pezzi importanti della politica, delle Forze Armate, delle Istituzioni. Come del resto poi la commissione apposita guidata da Tina Anselmi avrebbe effettivamente documentato una dozzina di anni dopo.
Nonostante all’inizio Pecorelli parlasse bene del “Gran Maestro”, ben presto i suoi toni cambiarono e lo attaccò con violenza. Infine, con l’OP si occupò anche di una loggia massonica in Vaticano: Pecorelli inviò al neoeletto Papa Luciani la lista dei prelati “infedeli”, contro cui il Papa aveva intenzione di prendere provvedimenti. La notte stessa, casualità o no, Luciani morì dopo appena 33 giorni di pontificato. Di certo, tra i 121 nomi della lista, quattro risulteranno in seguito collegati al caso di Emanuela Orlandi.
Mino Pecorelli / L’omicidio del giornalista
A causa dei toni, delle minacce e dei ricatti, Pecorelli fu più volte denunciato all’Ordine dei giornalisti per reiterate diffamazioni. Consapevole del clima che lo circondava, previde anche la sua morte in una nota della sua rivista: “I nostri lettori e coloro che ci stimano saprebbero riconoscere immediatamente la mano che ha armato chi vorrà torcerci anche un solo capello”.
Alla fine, le sue previsioni diventano tragicamente realtà il 20 marzo del 1979. Ciro Formuso, carabiniere ausiliario, segnala il ritrovamento del corpo del giornalista: alle 20.40. Pecorelli viene ritrovato steso sui sedili anteriori della sua Citroen parcheggiata vicino la sede della redazione di OP. Ucciso da quattro colpi di pistola calibro 7.65: tre alla schiena e uno in bocca. Subito si notò la particolarità dei proiettili: marcati Gevelot, assai rari da trovare anche nel mercato clandestino. Lo stesso tipo di proiettili rinvenuto nell’arsenale della Banda della Magliana, nascosto nei sotterranei del Ministero della Sanità.
Mino Pecorelli / Le indagini e i processi
Le prime indagini coinvolgeranno Licio Gelli della P2, Massimo Carminati, esponente della Banda della Magliana, e altri. Tuttavia, risulteranno fallimentari fino al 1993, anno in cui Tommaso Buscetta, pentito mafioso, accusò Giulio Andreotti: “L’omicidio di Pecorelli è stato deciso da Stefano Bontate nell’interesse di Andreotti”.
Le successive indagini scoprirono che la sera in cui il giornalista morì, in tipografia si trovava il successivo numero di OP nella quale veniva attaccato Andreotti. La copertina già pronta ritraeva il presidente e il titolo “Gli assegni del Presidente”. Nonostante rinvennero la copertina, le pagine interne casualmente no. Secondo le dichiarazioni di Buscetta, Pecorelli possedeva documenti che riguardavano il caso Moro in cui si menzionava più volte Andreotti stesso. Il processo che si susseguì, tuttavia, non produsse i risultati sperati: il 30 ottobre 2003 la Cassazione assolve dall’accusa tutti gli imputati.
Mino Pecorelli / La costante ricerca della verità del giornalista
Insieme alla zia Rosita, Andrea Pecorelli, figlio del giornalista, ha combattuto per anni alla ricerca della verità dietro la morte del padre. Durante un’intervista per Rai Radio2 ha parlato riguardo i progressi delle ultime indagini.
“Voglio conoscere la verità sull’assassinio del mio papà. Magari anche una verità che deve restare segreta, magari all’interno di un ufficio destinato a scomparire dopo due ore. Voglio solo la verità, non mi interessa nient’altro. Tanto nessuno può ridarmi mio padre, nessuno può ridarmi i momenti in cui mi sarebbe servito averlo accanto a me. Mio padre ha scritto tanto e di tanti. In molti potevano avercela con lui. Vorrei solo sapere il motivo del suo assassinio. Potremmo sorprenderci nello scoprire una verità lontana anni luce da quella che immaginiamo. Quello che fino ad oggi ha fatto la magistratura mi ha lasciato perplesso. Spero che il pm che ha in mano questa nuova indagine sia pronto ad andare fino in fondo. Qualcuno ci dica la verità, magari in forma in privata. Ma ce la dica”.
Sono ormai passati 44 anni dall’omicidio di Mino Pecorelli, ma continua la speranza di poter chiudere definitivamente questo caso. Non fosse altro, se proprio in mancanza di senso di giustizia, almeno per dovere nei confronti di una famiglia distrutta che non ha mai ricevuto risposte.
Milena Landriscina