Nel maggio 1945, quando la guerra era ormai alle sue battute finali, non tutti i campi di concentramento erano stati liberati. I nazisti erano scomparsi. I campi di concentramento, ormai svuotati, erano un enorme deserto pieno di morte. In uno di essi, a Mauthausen, un ragazzo siciliano è immobile da giorni su un pagliericcio. Ha vent’anni, ma il suo corpo scheletrico e pieno di piaghe ne dimostra molti di più. Da giorni sente spari del fuoco alleato. Sente che l’ultimo atto di questa tragedia è vicino, ma non sa se arriverà a vederlo con i propri occhi. Il ragazzo è Nunzio Di Francesco, partigiano di Linguaglossa.
Linguaglossa / Il partigiano Nunzio Di Francesco
Il partigiano Nunzio Di Francesco nasce il 3 febbraio 1924 a Linguaglossa. Nel ’43 è un soldato diciannovenne stanziato a Venaria Reale (TO). Poco dopo l’annuncio dell’armistizio, decide di unirsi alla formazione partigiana “Garibaldi”, nonostante fosse nato e cresciuto sotto la dittatura fascista. Viene catturato dai nazisti e deportato a Gusen II e Mauthausen. Sopravvissuto ai campi di concentramento, continua a battersi per la pace e la democrazia. Presidente provinciale dell’Associazione Partigiani di Catania, dirigente nazionale dell’ANED (Associazione Nazionale Ex-Deportati), si spegnerà il 21 luglio 2011, all’età di 87 anni.
L’ora di resistere
Il 25 aprile l’Italia viene liberata. Il 1° maggio è festa in tutto il mondo, ma non nei campi di concentramento che aspettano di essere liberati. Lì la macchina della morte continua a marciare. I kapò e le SS sono scomparsi dopo aver distrutto fascicoli e documenti. Nella desolazione dei campi si aggirano corpi scheletrici, che di tanto in tanto, ormai vinti, si lasciano morire. Ovunque, montagne di cadaveri accatastati dai nazisti.
Il ventenne Di Francesco, stremato da otto mesi di detenzione, non riesce più a muoversi: il suo corpo è pieno di piaghe. Immobile sul pagliericcio che purtroppo ora ha tutto per sé, sente dai racconti dei compagni ciò che accade. Alcuni sentono degli spari provenire dalle città vicine, dai pezzetti di giornale gettati nell’immondizia si apprende delle disfatte naziste. Altri ancora vedono passare i carri armati alleati. Ora si tratta solo di attendere che vengano ad aiutarli.
L’atto finale della tragedia
Le SS. sono scomparse, ma si continua a morire. Nella notte tra il 4 e il 5 maggio la cucina del lager viene assaltata. Ciò causa altre vittime per aver mangiato troppo dopo un digiuno così prolungato. Il giorno dopo arriva per Nunzio la libertà. Un suo coetaneo milanese lo aiuta a cercare soccorso. Escono dal campo, aspettandosi di ricevere un tempestivo intervento della Croce Rossa. Lì però, non c’è nessuno ad attenderli. Si trascinano per un chilometro. Quando stanno per crollare, una signora di un piccolo borgo tedesco dà loro un po’ di latte tiepido e patate. Capiscono allora che tutto era finito.
Riabilitazione nell’ospedale alleato
Arrivati nei pressi del Danubio, una squadra di militari americani dice loro che non possono aiutarli, hanno ricevuto l’ordine di non abbandonare il posto di guardia. Poco dopo, una jeep li porta in ospedale. Dopo la guerra come partigiano e il campo di concentramento, finalmente Nunzio ha una camera tutta per sé. L’ampia finestra che dà sul giardino rimane la sua vista per il lungo periodo delle cure di riabilitazione. Quando i dottori gli chiedono “Cosa vorresti?” lui risponde “I maccheroni col sugo!”. Tra le risate generali continua “Red! Red pasta!” per farsi capire dagli americani. La delusione quando le infermiere gli portano un piatto di pasta con marmellata di ciliegie è inevitabile, ma poco male: è il momento di tornare in Sicilia.
Isolamento e rinascita
Il ritorno alla vita normale è difficile per il giovane partigiano Di Francesco. Nessuno, ad eccezione dei suoi familiari, era disposto ad ascoltare i suoi racconti. Il parroco lo chiama “pecorella smarrita” proprio per il senso di isolamento che comincia a provare. Trova nella fede e nella cultura due ancore di salvezza che lo liberano dal peso soffocante del passato. Capisce che si vuole andare avanti e dimenticare ciò che è successo. Tuttavia, quell’abominio umano non può essere cancellato. La guerra, le torture e talvolta la morte, erano state il costo che molti avevano dovuto pagare per la libertà.
Il costo della libertà
Decide di scrivere l’autobiografia: “Il costo della libertà”, di cui pubblica due edizioni a spese sue. Da un lato il suo obiettivo è quello di tenere viva la memoria tramite la sua testimonianza. Dall’altro, scrivere diventa per lui un modo di rielaborare tutto ciò che aveva vissuto. Questo libro lo libera dalle catene che lo tenevano legato al passato. Nella seconda edizione inizia a collaborare con la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania. Il volume è arricchito da ulteriori testimonianze e dalla prefazione del Professor Mangiameli.
Il 27 gennaio 2021, in occasione della Giornata della Memoria, l’Università di Catania ha deciso di rendere omaggio a Di Francesco e altri due deportati catanesi: Carmelo Salanitro e Antonino Garufi.
Cristina Di Mauro