È uno dei 25 profughi scampati alle acque del Mediterraneo e che la Prefettura di Milano ha assegnato in “quota” richiedenti asilo a un gruppo di 11 comuni lombardi di cui la cittadina del Carroccio è capofila. Ha subito mostrato le sue doti atletiche e dopo pochi allenamenti ha già dei buoni tempi sui 100 e 200 metri. Gareggia per i colori all’Unione sportiva San Vittore Olona
Sorriso e muscoli. Una storia personale alle spalle da far rizzare i capelli. Tante speranze per il futuro. Masamba Ceesay ha 20 anni e – racconta orgoglioso – abita “a Legnano, in via Quasimodo”. È arrivato casualmente in Lombardia partendo da una terra ben lontana, il Gambia, dopo aver attraversato ampia parte dell’Africa nord-occidentale; quindi la Libia e, dopo sofferte vicende che non riesce ancora a raccontare, la traversata del Mediterraneo su un’imbarcazione improbabile. L’approdo a Lampedusa e tutte le altre tappe che attendono in Italia i profughi del mare, in fuga dalla fame, dalle dittature, da nazioni dove non s’intravvede futuro per un giovane come Masamba. Che però ha dalla sua parte diversi talenti: il coraggio, anzitutto, la voglia di farcela e uno sprint fulminante. “L’altra domenica sono arrivato secondo nei cento metri, in 11 secondi e 7 centesimi. Ma non sono soddisfatto: mi alleno per scendere sotto gli 11 e – sorride di nuovo – arrivare primo!”.
Dal villaggio alla Libia, poi il barcone. “Quando ero in Gambia, da ragazzo, stavo bene. Volevo bene alla mia famiglia, avevo tanti amici, andavo a scuola di arabo, perché siamo musulmani, e di inglese. Giocavo a pallone e correvo; ero conosciuto perché come atleta me la cavavo bene”. La lingua nativa di Masamba è mandinka, la stessa che parlava Kunta Kinte, primo protagonista del libro “Roots” (Radici), di Alex Haley, che racconta di un’altra “deportazione”, dal Gambia agli Stati Uniti. Masamba si esprime in inglese e, ormai con una certa disinvoltura, anche in italiano. “Dal mio villaggio andavo a scuola in città, a Banjul”, la capitale, “poi tornavo a casa, giocavo ore a calcio, andavo a correre e infine in biblioteca, con i compagni, a studiare per il giorno dopo”. Il racconto si dipana tra aneddoti e qualche sospiro. “Il sabato e la domenica, invece, rimanevo in negozio ad aiutare mio papà. Mio padre aveva due mogli e 20 figli; io sono il primo figlio della seconda moglie”. Ma, poco più che adolescente, qualcosa – che il giovane non si sente di svelare – turba la sua esistenza: “Sono partito da casa per un problema con la mia famiglia. A 18 anni sono andato in Senegal. Poi da lì in Libia”. Gli eventi successivi – che è facile immaginare, tra migrazione subita, lavoro nero, violenze – rimangono sullo sfondo. Dice solo: “Dalla Libia sono scappato perché c’era la guerra. Ho visto morire la gente… Io e alcuni amici siamo saliti su un barcone per salvare la vita. Quando ho messo il piede a terra ho saputo che era la Sicilia. Ero contento di aver salvato la pelle”.
“Adesso qui mi trovo bene”. Dal passato si arriva a oggi. “Sono a Legnano da quasi otto mesi – racconta Ceesay – e sono diventato un atleta del San Vittore Olona. Sono un velocista”. Masamba vive con altri 24 profughi, quasi tutti giovani del Gambia, anch’essi scampati per miracolo alle acque del Mediterraneo. La Prefettura di Milano ha assegnato questa “quota” di richiedenti asilo a un gruppo di 11 comuni di cui Legnano è capofila. L’amministrazione municipale – pur dovendo fare i conti con l’ostilità di non pochi cittadini, sobillati anche da qualche partito – ha trovato una collocazione dignitosa ai ragazzi, in un magazzino dell’ex azienda municipalizzata. La Fondazione Padri Somaschi e un gruppo di loro educatori professionali si occupano dell’organizzazione della “casa”; a mezzogiorno il pranzo è assicurato dalla mensa promossa dai frati Carmelitani e gestita dalla Caritas. Un gruppo di volontari ha creato una bella rete di sostegno. Due associazioni ecclesiali e il Ctp Tosi forniscono corsi di lingua, l’Auser fa sì che i giovani gambiani si rendano utili agli anziani, mentre altri profughi affiancano i volontari della stessa associazione per la vigilanza stradale fuori dalle scuole elementari e medie. Alcune mamme hanno insegnato a cucinare, a stirare e persino a cucire con una vecchia macchina a pedali. Non manca un insegnante di musica (tamburi) e chi organizza momenti di festa. Altre associazioni sono coinvolte nell’esperienza di via Quasimodo: la Uildm (vetrofusione), il Centro sociale Mazzafame (cucina e tuttofare), la Cooperativa Progetto (ciclofficina e orto). Inoltre tre ragazzi ospiti stanno seguendo in una parrocchia il corso per animatori per il prossimo oratorio estivo. Una parvenza di vita normale, quindi, anche se molti non hanno superato lo shock della fuga da casa e altri avvertono forte il senso di nostalgia. “Ma Legnano è bella – afferma convinto Masamba -. Mi trovo bene. Tante persone ci hanno accolto aiutandoci”. In questi giorni si respira però aria un po’ tesa in via Quasimodo: i profughi stanno sostenendo i colloqui individuali con l’apposita commissione per il riconoscimento dell’asilo.
In pista, fra nuovi amici. “È un ragazzo pieno di entusiasmo, ha voglia di fare. Si allena con serietà. Credo che sia anche maturato da quando è arrivato la prima volta da noi”: Gianpietro Spada parla di “Mah”, come è stato subito soprannominato Masamba all’Unione sportiva San Vittore Olona, a due passi da Legnano, dove il giovane africano è stato accolto alla sezione di atletica leggera. Spada, dirigente Fidal, istruttore Coni, è uno dei 250 tesserati: un impegno di volontariato legato alla passione per lo sport dilettantistico. “Al Memorial Vanzillotta del 3 maggio – racconta al Sir – svoltosi a Sesto San Giovanni, Mah è arrivato secondo con una splendida gara. Il suo 11’’07 nei cento metri e il 22’’63 nei duecento sono buoni tempi. Se poi si considera che l’allenamento vero e proprio è iniziato poco prima di Natale…”. La federazione di atletica ha accordato al giovane gambiano il consenso di gareggiare fino al 3 luglio, poi dipenderà dallo status che gli sarà riconosciuto. “Masamba ha delle doti – aggiunge Spada – e ce la mette tutta. Qui si è fatto tanti amici, proprio per il suo impegno. Arriva, si allena, si trova bene con i nostri atleti, che vanno da 16 ai 70 anni. Gli fa bene stare qui: lo sport è una scuola di vita, capisci che non tutto è dovuto e che se vuoi qualcosa te lo devi conquistare. Con la storia che ha alle spalle, Mah ha tanto da imparare. E noi da lui”.
Gianni Borsa